Alitalia, quale piano?

Scritto da Franco Di Antonio

Stampa

La politica, ben assistita dai sindacati e dagli imprenditori coinvolti, tenta ancora una volta un’operazione “questua” per tenere in piedi la compagnia ex di bandiera, virtualmente fallita per l’ennesima volta: il conto lo pagheranno i soliti noti; il problema non sarà risolto.


Questa è la semplice e atroce realtà.

Nel tentativo di sostituire parte degli imprenditori che si stanno defilando, si infilano le Poste; la scusa è quella valida per tutte le stagioni: si tratta di un’azienda strategica e ci sono delle sinergie. Ammesso che esistano delle sinergie, esse riguardano una partita da un centinaio di milioni su un fatturato da circa 4 miliardi. Siamo al palese ridicolo.

Nel frattempo si blatera di possibili alleanze, tutte ad oriente: che sia vicino, lontano o siberiano, si guarda solo ad oriente. Certo, se per caso si realizzasse qualcuna di queste ipotesi avremo come minimo il bisogno di ridisegnare la struttura di rete ad oriente (non è che ci sia molto in effetti). L’ipotesi più favorevole appare quella Aeroflot che richiederebbe il minor numero di linee da affidare all’alleato.

Ma qualunque sia il buon samaritano il problema di fondo rimane: bisogna mostrargli quale sia la ristrutturazione del debito e tramite quale piano industriale esso dovrebbe essere onorato. Va da sé che a seconda del tipo di alleato il piano subirebbe dei cambiamenti. Non ha senso, infatti, parlare di rifinanziamento o ricapitalizzazione senza una strategia nazionale ed internazionale di lungo periodo.

Quasi tutti gli analisti economici propendono per il fallimento, cosa che affiderebbe al mercato la cura. Sicuramente non porta da nessuna parte cercare soci danarosi che dovrebbero mettere dei soldi come si suol dire “a babbo morto”, e al massimo con l’iniezione di soldi delle Poste si sopravvive qualche mese con l’aggravante di una probabile sanzione comunitaria per aiuti illeciti. Poche le speranze per attivare l’attrazione di capitali che sostengano un piano industriale in grado di finanziare con i profitti l’impresa.

Abbiamo già accennato in precedenti articoli ai mali di Alitalia (Crisi e carrelli e Alitalia, che fare?), ed è un punto irrinunciabile di partenza. Da qualche parte arrivano ipotesi su come attirare delle imprese che non siano Air France. Il prof. Arrigo sostiene che occorre dividere in due unità operative l’azienda, una di medio raggio ed una di lungo raggio e poi venderle separatamente. E’ un’idea anche questa, ma per rimanere nell’ipotesi avanzata dallo studioso, se l’acquirente di lungo raggio fosse Etihad, essendo essa proprietaria del pacchetto di maggioranza di Air Berlin, l’operazione si potrebbe compiere all’interno del medesimo gruppo senza coinvolgere delle low-cost che hanno sicuramente altro da fare che acquisire carrozzoni decotti.

La mossa di partenza però dovrebbe essere la riorganizzazione di Alitalia in Strategic Business Unit, come aveva progettato il compianto presidente Verri. Insomma non si esce dal cane che si morde la coda alleato - piano. E siccome ormai parlare di Alitalia è come per la nazionale di calcio, sono tutti commissari tecnici, per non sottrarci a questo gioco diciamo la nostra.

La questione Alitalia non è legata alla strategia di alleanze da sviluppare. Il dato fondamentale è che, pur trattandosi di una azienda che sviluppa più di 20 milioni di passeggeri l'anno, non esistono garanzie credibili riguardo agli investimenti necessari e potenzialmente fruttuosi che vanno realizzati. Il ruolo strategico di AZ dovrebbe quindi essere di ponte con le Americhe e l'Europa con un occhio di riguardo per l'Africa (e l’oriente se non ci fossero alleati di quelle zone), onde fornire una rete di collegamenti a lungo raggio completa.

C'è poi il problema del polo di raccolta del traffico del ricco nord, se fosse Malpensa equivarrebbe a Fiumicino, se la scelta fosse su entrambi occorrerebbero investimenti colossali. Appare logico basare l’azienda dove c’era la base d’armamento, che come detto negli altri articoli andrebbe resuscitata.

Air France ha interesse ad acquisire Alitalia da fallita, sia perché la pagherebbe molto meno, sia perché così non dovrà farsi carico del buco nero scavato da un management mai amato e che i fatti hanno dimostrato fallimentare. D'altra parte, è difficile che delle imprese private decidano di acquisire una compagnia che nei prossimi anni è candidata a perdere più di mezzo miliardo di euro. Oltretutto se ci fosse un’uscita dall’alleanza Skyteam, l’Alitalia dovrebbe pagare circa 200 milioni di euro e dovrebbe rivedere tutti gli accordi di code-sharing esistenti.

Al momento non c’è alcun piano e nessuna analisi delle ragioni del fallimento. La questione del piano industriale è estremamente complessa e prevederebbe una conoscenza approfondita dell'Alitalia e del mercato del trasporto aereo, e su questo va detto che in molti avevano descritto come irrealizzabili gli obiettivi del piano “Fenice”, troppo incentrato sul corto medio raggio. Tale scelta era però condizionata dall’esposizione di Air One con l’ordine di decine di aerei a medio raggio (fatto ricordato recentemente anche da Enrico Letta). Ora riequilibrare questa scelta a favore del lungo raggio significa acquisire aerei che valgono più di duecento milioni l’uno, oppure operarli in leasing con i conseguenti aumenti dei costi. Secondo alcuni analisti occorre un piano di sviluppo da 4 miliardi di euro. Se Air France interverrà a valle del fallimento, il piano lo disegnerà lei secondo il suo schema strategico deciso già da qualche tempo, e ci saranno sicuramente delle ristrutturazioni dolorose, ma forse questa volta solo a carico delle attività indifendibili..

Ad aggravare la situazione, le scelte governative di tassare tutto il tassabile, tra l’altro l’aumento delle tasse aeroportuali e l’introduzione dell’IRESA che porteranno un aggravio da 75 milioni sui costi (la quota delle Poste).

L’implementazione tempestiva di un piano efficace favorirebbe una delle possibili soluzioni...