Ma i cieli sono ancora blu?

Scritto da Roberto Malaguti

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La sicurezza nell’alto dei cieli (parte II)
(segue) Che cosa minaccia la nostra sicurezza dall’alto dei cieli? Bella domanda, e se avessimo una risposta questo equivarrebbe a dire che il problema non esiste più.


Come dicevamo, finita, l’era dei confronti simmetrici (si spera, ma non contateci troppo) ovvero di quelli fra schieramenti definiti e sostanzialmente utilizzanti simili tecniche, tattiche e procedure, da un po’ di anni siamo dentro quella che possiamo definire l’era delle permanenti insicurezze.

La società civile in generale, poco dipende se occidentale o orientale, all’aumentare della sua complessità e della sua dipendenza da tecnologie raffinate, ha di pari passo aumentato la sua vulnerabilità verso minacce molteplici, che trovano proprio nella superiore tecnologia del bersaglio i loro punti di forza.

Nella società di metà novecento, un gruppo di scalmanati poteva ben poco in termini di danni verso un paese mediamente industrializzato. Colpire una centrale elettrica avrebbe portato pochi danni materiali; una bomba in una stazione ferroviaria certo molte vittime, molto clamore, ma obiettivamente poco o nulla in termini di destabilizzazione. Storicamente la “guerriglia”, anche se romanticamente legata ad un paio di generazioni, non ha mai né rovesciato né seriamente infastidito nessun paese determinato e preparato nel portare a termine il suo compito.

Oggi un gruppo di ragazzotti armati di capacità e buoni PC può in linea teorica mettere in seria crisi un intero Paese. Ogni aspetto delle nostre società è diventato un bersaglio pagante e relativamente scoperto. Maggiore è la complessità di un sistema, maggiori sono le sue vulnerabilità è un dato di fatto.

Da qualche tempo si sente parlare della possibilità di prendere il controllo di un velivolo dall’esterno estromettendo via software l’equipaggio di condotta. Sinceramente ho più di qualche dubbio in proposito, almeno allo stato attuale, ma non mettiamo limiti alla buona volontà umana nel settore… Certo è che lo spazio aereo è stato, è, e sarà in futuro uno dei teatri di scontro fra i contendenti ed uno dei principali obiettivi da proteggere.

Del resto ci ricordiamo tutti come proprio con il dirottamento aereo sia nato probabilmente il primo e più noto campo di battaglia asimmetrico già dagli anni '70 del secolo scorso. Ci sono molte ipotesi sul perché furono proprio nell’attacco all’aviazione civile che si focalizzarono all’epoca, le attività terroristiche principalmente per opera dei guerriglieri palestinesi. Evidentemente, in un momento di grande espansione del trasporto aereo il mettere in dubbio la sicurezza dello stesso, soprattutto da un punto di vista psicologico, sarebbe stato visto come un obiettivo facilmente raggiungibile e, soprattutto, di grande peso mediatico. Va considerato inoltre che il principale obiettivo erano (come oggi) gli Stati Uniti, il paese in cui all’epoca più degli altri era sviluppato il trasporto aereo e che deteneva in sostanza il monopolio della costruzione dei vettori. Giusto per completezza, negli stessi anni in Italia (paese da sempre aeronauticamente di serie B) il terrorismo nostrano sceglieva invece di attaccare i treni e le linee di trasporto ferroviario, mezzo concretamente più “vicino” al cuore della gente che non l’aeroplano.

Di sicuro, questa prima ondata di attacchi verso il trasporto aereo provocò da un lato un grande risultato sull’opinione pubblica e dall’altro un incremento dei costi, dovuti all’implementazione di misure di sicurezza adeguate alle minacce, tali da cambiare il nostro modo di viaggiare per sempre. All’inizio di questo secolo poi, il terrorismo aereo avrebbe raggiunto l’apoteosi con l’attacco dell’11 settembre, evento destinato a cambiare per sempre le prospettive della gente, dei terroristi e di chi è deputato alla difesa. (continua)

(24 settembre 2015)