Soldi, bugie e videotape

Scritto da Felice Saulino

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Settima puntata del Dossier Alitalia-CAI, per gentile concessione di Felice Saulino www.felicesaulino.it
“Stiamo facendo esattamente quello che abbiamo disegnato e su cui abbiamo progettato le dimensioni dell’azienda e delle risorse finanziarie... Approfitto di questa occasione per rassicurarvi, conti alla mano,

che non abbiamo bisogno di alcun aumento di capitale… Il tema non è all’ordine del giorno e auspico che se ne parli il meno possibile…”

È mercoledì 23 settembre: Rocco Sabelli “approfitta” dell’occasione offertagli dall’audizione parlamentare sugli aeroporti italiani per “rassicurare” i deputati della Commissione Trasporti di Montecitorio sulla situazione finanziaria della nuova Alitalia. L’amministratore delegato scandisce le parole una ad una : “Stia-mo fa-cen-do esatta-men-te…”. Il tono è quello del top manager che non ammette repliche.

Martedì 29 settembre, una fonte bancaria anonima fa filtrare un’indiscrezione che smentisce Sabelli. Intesa San Paolo e Unicredit stanno per iniettare altri cento milioni di euro nel serbatoio di Alitalia a corto di liquidità. Il prestito di quattro anni  è stato ripartito in quote uguali: 50 milioni dalla banca guidata da Passera e 50 da quella amministrata da Profumo. L’operazione sarà garantita dalla Sace. Alitalia è costretta a confermare.

Se questi sono i fatti, è lecito domandarsi per quale ragione, appena sei giorni prima, senza che nessuno glielo chiedesse, Sabelli aveva voluto “rassicurare” il Parlamento sul bilancio della compagnia. E perché lo aveva fatto in maniera così perentoria: “Non abbiamo bisogno di alcun aumento di capitale…”.

La sola spiegazione è il nervosismo. Nervosismo per le critiche alla sua gestione e per i rumors su una prossima sostituzione. Le solenni parole pronunciate a Montecitorio, destinate ad essere riprese dai media, vanno lette come un maldestro tentativo di porre fine alle voci sulle difficoltà finanziarie di Cai e mettere a tacere i detrattori.

Ancora una volta, Napoleone ha sbagliato piano di battaglia. Quella che aveva immaginato come una prova di forza si trasforma rapidamente in una nuova dimostrazione di debolezza. Ma la notizia del nuovo debito ormai è pubblica e l’ingegnere di Agnone è costretto a cambiare strategia: “Era tutto previsto… è una notizia soddisfacente che, in un periodo in cui le compagnie aeree vengono guardate con una certa attenzione per la crisi generale, le due più importanti banche italiane abbiano deciso di finanziarci a lungo termine… è un prestito a quattro anni, a basso livello di rischio, visto che è garantito dalla Sace, che a sua volta ha la garanzia dei nostri aerei…”

La realtà è ovviamente diversa. I problemi di liquidità della nuova Alitalia esistono e vengono da tempo evidenziati dagli analisti. Cai avrebbe bisogno urgente di una ricapitalizzazione, ma gli azionisti “patrioti” non intendono scucire un soldo. Allora Sabelli, dopo aver gridato ai quattro venti che la società “non ha bisogno di alcun aumento di capitale…”, è costretto a indebitarsi. Una scelta inevitabile: se gli azionisti non vogliono mettere mano al portafoglio, la sola alternativa è quella di chiedere i soldi  alle banche e contrarre un nuovo debito.

L’errore di Sabelli, ma anche dell’altro protagonista dell’audizione, il presidente Colaninno, è stato quello di andare in Parlamento a sostenere che andava tutto bene. Abituatisi a nascondere sotto il tappeto i cocci della loro incerta gestione, i due massimi esponenti della compagnia aerea contavano evidentemente sulla segretezza dell’operazione concordata con le due maggiori banche italiane. Segretezza che, al solito, avrebbe dovuto essere garantita dalla protezione del Governo e dalla complicità dei media.

Eppure i cento milioni prestati ad Alitalia, anche con le poche notizie pubblicate dal solito Messaggero di Caltagirone, suscitano più di un interrogativo. Il primo riguarda la banca di Passera. Come mai Intesa, che è il terzo azionista di Cai, ha chiesto una mano a Unicredito? Forse perché Passera, il vero artefice della “privatizzazione” Alitalia, è stato messo sotto processo dal presidente Bazoli proprio per il flop della cordata patriottica? Forse perché, conoscendo la situazione organizzativa e contabile di Cai, la banca non si fidava e cento milioni di prestito non sarebbero passato al setaccio dei consigli di gestione e di sorveglianza a cui spetta la delibera?

Seconda domanda. Perché è stata necessaria la garanzia della Sace? Controllata al cento per cento dal ministero dell’Economia, Sace, come prevede lo statuto, dovrebbe occuparsi solo di crediti all’esportazione. Quindi, la copertura assicurativa di un prestito fatto a una compagnia aerea è anomalo. A meno che questo non preluda a un ingresso mascherato del Tesoro nel capitale Cai.

Anche le garanzie date alla Sace sembrano dubbie. Napoleone Sabelli parla degli aerei. Ma quali aerei? Quelli vecchi o quelli nuovi? A lume di ragione non vanno bene né gli uni né gli altri. I vecchi, perché sono tutti abbondantemente ipotecati e i nuovi perché vengono presi in leasing da una società che fa capo all’ex proprietario di Air One, Carlo Toto.


Sarebbe interessante ottenere risposte a queste semplici domande. Ma le risposte non arriveranno. La via del confronto sereno sulla base di fatti, dati e progetti degni di questo nome non è nelle corde e nelle abitudini degli attuali vertici di Alitalia. Basta dare un’occhiata all’intervento dell’amministratore delegato nella convention Alitalia svoltasi poche ore prima dell’audizione parlamentare del 23 settembre. Davanti a duemila dipendenti Alitalia, Sabelli prima riconosce che piloti e assistenti di volo sono le categorie che hanno pagato di più in termini di aumento delle ore di lavoro e diminuzione di stipendio. Poi assicura che l’azienda vuole sanare questa situazione.

Potrebbe fermarsi qui. Ma, alla fine, non resiste alla sua vocazione muscolare. E conclude con una minaccia: se i sindacati di piloti e assistenti di volo pensano di continuare a usare gli stessi metodi che usavano nella vecchia Alitalia “si sbagliano”. Perché “abbiamo dimostrato di avere le capacità e gli strumenti per contrastarli e per non farci intimorire…”

Poche ore dopo la convention, il Napoleone di Agnone va in Parlamento e attacca duramente Vito Riggio, il presidente dell’Enac che aveva osato minacciare il ritiro della licenza agli handler Alitalia per il caos bagagli: “L’ipotesi di revoca della licenza - tuona - deve essere considerata estremamente grave, perché irrituale, intempestiva e anche infondata…”.

E la gestione Alitalia ed AirOne?  I ritardi, i disservizi, i conti che non tornano? A sentire Sabelli qualche errore c’è stato, ma è acqua passata: “Noi abbiamo capito quali sono i problemi e cosa dobbiamo fare, alcuni problemi richiedevano un mese e li abbiamo fatti, per altri occorreranno sei mesi… Stiamo intervenendo sui bagagli, sul personale, sulla nostra organizzazione…”.

Gli spot pubblicitari trasmessi in Parlamento da Sabelli e da Colaninno sono troppo perfino per un uomo mite come l’onorevole Angelo Compagnon, un posdemocristiano friulano che adesso milita nell’Udc e fa parte della Commissione Trasporti.

Il presidente Colaninno aveva appena suggerito ai deputati di che accontentarsi del giudizio dei “patrioti”. “Nel consiglio di amministrazione di ieri tutti gli azionisti hanno dichiarato la loro soddisfazione perché abbiamo salvato Alitalia e abbiamo introdotto tutti quei processi che dovrebbero migliorare il servizio”.  “A questo punto Compagnon esplode: “Mi preoccupa sentir affermare che va quasi tutto bene… siamo anche tutti utenti di questa compagnia e posso affermare, senza pericolo di essere smentito, che non funziona quasi niente…”

Già. Ma chi parla più dei disservizi Alitalia che continuano anche in autunno? Nessuno. Eppure alcuni episodi la dicono lunga sul disastro organizzativo della compagnia. Eccone uno. Il 20 settembre il volo Az 1391 Roma Fiumicino Genova parte tre ore dopo l’orario previsto con i passeggeri inferociti per l’assenza di qualsiasi informazione. All’improvviso, uno di loro va al banco del gate, afferra un microfono ancora inserito e si lamenta perché continuano a spostare il decollo di venti minuti in venti minuti mentre nessuno sa dire quando si partirà veramente… A questo punto, un secondo passeggero, anche questa volta in assenza di qualsiasi intervento da parte della security, va al microfono e sostiene che c’è una cosa ancora più grave del ritardo: consentire a chiunque di fare un annuncio senza che gli addetti alla sicurezza muovano un dito…

Intanto i cassintegrati della vecchia Alitalia portata al fallimento e ora affidata al commissario Fantozzi, ripropongono la tragicommedia che hanno raccontato in un Dvd dal titolo “Tutti giù per aria”. A un anno dalla privatizzazione, il film della disfatta che avrebbe scaricato più di tre miliardi di euro sui contribuenti, lasciato diecimila dipendenti senza lavoro, e fatto nascere una “compagnia di carta” viene riproposto con due dibattiti: il 12 ottobre a Milano (Università Bicocca) e il 14 a Roma (Associazione stampa estera). A un anno dal funerale della società aerea pubblica, il bluff dei “patrioti” è, o dovrebbe essere, sotto gli occhi di tutti. E Cai assomiglia sempre di più alla surreale “compagnia di carta” di cui parla Ascanio Celestini nell’esilarante monologo che chiude “Tutti giù per aria”.

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