A che punto è l'elettricità?

Scritto da Pietro Pallini

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Quando si parla di propulsione elettrica in campo aeronautico il pensiero corre subito a sgraziati uccellacci dalle lunghissime ali come il celeberrimo Solar Impulse II, capace di circumnavigare il globo, ma ancora lontano anni luce dal nostro modo di concepire un veicolo destinato al trasporto pubblico di merci e passeggeri.


Eppure è proprio da quei prototipi futuristici e da quelle tecnologie spinte all’estremo che, e ci è capitato diverse volte di parlarne, traggono linfa vitale progetti più aderenti alla realtà di tutti i giorni, come Alice, Zunum e X-57.

I progetti che abbiamo appena nominato sono i più avanzati tra quelli che introducono la propulsione elettrica in aeronautica, e con loro è doveroso citare, anche se più che di aerei si parla di droni, anche dei taxi elettrici di Uber.

Tutti questi progetti hanno in comune un paio di grossi problemi, legati al ricorso praticamente obbligato a un sistema di immagazzinamento della sorgente di energia costituito da accumulatori che potremmo definire “classici”: batterie (o gruppi di batterie, definiti pack) di ultima generazione, generalmente dunque agli ioni di litio, in attesa di nuovi passi avanti nella tecnologia.

I due problemi sono quello della lentezza del “rifornimento”, e cioè della ricarica delle batterie, al quale si cerca di ovviare (sempre in attesa di nuove tecnologie) con la sostituzione pura e semplice delle batterie stesse, e quello di un rapporto sfavorevole tra il peso delle batterie e la potenza erogabile dalle stesse che va ad influire pesantemente sulle prestazioni e l’autonomia dei mezzi in progetto, soprattutto se paragonati a quelli degli aerei attualmente in uso.

Allo stato attuale è semplicemente impensabile usare la propulsione elettrica per far decollare aerei superiori alle poche tonnellate di peso e farli volare per più di un paio d’ore con un carico commerciale che renda economicamente profittevole l’impresa; il tutto possibilmente con livelli di affidabilità accettabili per un industria, quella aeronautica, nella quale il fattore di sicurezza è da sempre molto limitante.

La sfida del “tutto elettrico”, benché i grandi produttori di aerei da trasporto siano in qualche modo coinvolti in tutti i progetti di sperimentazione, appare dunque ben lungi dall’essere vinta e per ancora diversi decenni la grande aviazione commerciale continuerà ad affidarsi ai carburanti tradizionali, in massima parte di origine fossile.

Il tanto sbandierato passaggio a fonti di carburante alternative e più rispettose dell’ambiente sta infatti procedendo a rilento, e dopo gli iniziali entusiasmi che avevano accompagnato la sperimentazione in volo di motori alimentati esclusivamente da biocarburanti, le difficoltà tecniche di produzione e logistiche di distribuzione, unitamente ad qualche problema di gestione dei motori hanno fatto sì che si sia ripiegato verso soluzioni che prevedono, un po’ come nelle automobili, l’impiego di miscele tra carburanti bio e tradizionali. Meglio che niente, si dirà… vero, ma l’impatto ambientale resta alto.

In attesa di nuovi passi avanti della ricerca, si cerca di ridurre il disagio spremendo al massimo le risorse tecnologiche disponibili, ma i recenti problemi di vibrazioni sofferti dall’iper tecnologico Pratt & Whitney PW1100G-JM hanno evidenziati l’esistenza di limitazioni che, seppur teoricamente superate a livello di sperimentazione, tendono a ripresentarsi nella dura vita operativa dei motori.

E non ci sono solo consumi e carbon footprint, perché la propulsione elettrica consentirebbe di ridurre in maniera drastica anche l’inquinamento acustico.

(27 ottobre 2018)