Un banalissimo bug - I

Scritto da Pietro Pallini

Stampa

I - Più di sei e più di due: sono i mesi passati rispettivamente dagli incidenti di Jakarta e di Addis Abeba, e ancora quello che era stato dalla Boeing frettolosamente definito come un “errore di software” non è stato corretto. E la ragione è semplice: non di bug informatico. ma di colossale errore progettuale si è trattato.


E quello che è più grave è che tale errore, commesso da una delle due industrie aeronautiche che dominano il mercato (e il cui nome fino a pochi mesi era sinonimo di affidabilità) è stato reso possibile prima, tollerato dopo, e finalmente ammesso a denti stretti da una autorità aeronautica che, sempre fino a pochi mesi, fa godeva fama di assoluta eccellenza a livello mondiale: la Federal Aviation Agency, la mitica FAA.

Ma procediamo con ordine.

La Boeing è praticamente da sempre un’azienda leader nel settore dell’aviazione civile (e non solo), con in più il valore aggiunto di essersi costruita l’immagine di azienda in qualche modo “tradizionalista” rispetto alla concorrente europea Airbus, la quale ha puntato da ormai quasi 40 anni le sue carte sull’automazione spinta e sulla computerizzazione degli impianti di bordo, a cominciare dai comandi di volo.

Nell’immaginario collettivo, anche quello degli addetti ai lavori, dire Boeing è dire aeromobili tradizionali, robusti, sicuri, “proudly built in USA”, mentre il nome di Airbus viene spesso accoppiato a quello del Tamagochi, il famoso pulcino virtuale, portandosi dietro una fama (in certa misura non del tutto infondata) di aerei sottratti al dominio tradizionale del pilota e consegnati agli oscuri algoritmi di un esercito di computer.

Il problema è che Airbus ci aveva in un certo senso visto giusto, e l’elettronica ha finito col prendersi un posto sempre più importante in ogni settore della tecnica, al punto che, tanto per fare un esempio banale, progettare un auto anche di medio livello senza un controllo elettronico di trazione e stabilità è ad oggi semplicemente impensabile. E se le cose stanno così sulle strade, a maggior ragione l’esasperazione di certe soluzioni aerodinamiche e la raffinatezza di gestione dei motori aeronautici hanno portato nei cieli dosi sempre più massicce di elettronica.

In poche e semplici parole: l’esasperata ricerca della riduzione dei costi ha spinto verso soluzioni talmente complicate da richiedere la presenza a bordo di un sistema elettronico di controllo sempre più invadente. E’ per questo che i Boeing prodotti negli ultimi due decenni non hanno più niente da invidiare, quanto a computerizzazione, agli Airbus, anche se sono in molti a farsi ancora trarre in inganno dalla persistenza in cockpit di una cloche di tipo tradizionale al posto del tanto vituperato joystick.

L’ultimo atto di questa sfida a colpi di “efficienza aerodinamica e propulsiva” è stato il lancio sul mercato di due nuove serie di aerei di medio raggio, a loro volta sviluppate a partire da due preesistenti modelli, già massicciamente presenti a spartirsi il mercato: l’A-320, che si evolve in A-320 NEO, e il B-737, che diventa MAX.

Modificare un modello piuttosto che progettarne uno ex-novo ha ovviamente dei vantaggi in sede di progettazione (non occorre partire da zero), di certificazione (i controlli degli enti preposti saranno più veloci) e di commercializzazione, perché l’addestramento dei piloti al “nuovo” tipo di aereo potrà essere svolto in forma ridotta, a volte con un semplice corso di aggiornamento che si può seguire anche da casa, con le modalità dell’e-learning.

E’ questo il quadro che ha reso possibile prima l’errore progettuale e poi l’inadeguatezza dei controlli che hanno causato 246 morti, ed è sempre questo contesto a determinare le difficoltà a trovare una soluzione, con i B-737 MAX da due mesi fermi sui piazzali o negli hangar.

Decisamente troppo, per un banalissimo bug… (continua)

(16 maggio 2019)