La condanna fantasma

Scritto da Felice Saulino

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Undicesima puntata del Dossier Alitalia-CAI, per gentile concessione di Felice Saulino www.felicesaulino.it
Il passaggio dell’Alitalia alla cordata berlusconiana di Cai è fuori legge. Governo e “patrioti” hanno violato l’articolo 2112 del nostro codice civile e si sono mostrati “inadempienti” di fronte alla direttiva comunitaria 2001/23.

È la direttiva che fissa precise regole sui “diritti dei lavoratori” in tutti i casi di trasferimenti d’azienda, inclusi quelli delle imprese “in stato di crisi”.

Lo ha stabilito la seconda sessione della Corte europea di Lussemburgo che ha condannato “la “Repubblica italiana rimasta soccombente” al pagamento delle spese processuali, in attesa di una pesante sanzione economica.

Formata dai rappresentanti di tutti i 27 stati membri, la Corte europea ha il compito di vigilare “affinché la legislazione sia applicata in modo uniforme in tutti i paesi dell’Unione…”.

La sentenza, di cui sono appena state rese note le motivazioni sul sito dell’Ue, è arrivata al termine della causa C-561/07, nata da un ricorso “per inadempienza”.

Ricorso, causa e sentenza sono stati regolarmente ignorati da tutti i quotidiani. Per i media è una condanna fantasma.
Secondo la Direttiva 2001/23, insieme alla compagnia aerea il nostro governo avrebbe dovuto trasferire a Cai anche “i diritti e gli obblighi dei lavoratori” Alitalia.

I nuovi proprietari privati avrebbero dovuto mantenere ai dipendenti “le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto di lavoro”.

Non è finita: secondo l’articolo tre della 2001/23, che l’Italia ha violato, “gli Stati membri “possono limitare il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro purché esso non sia inferiore a un anno”.
Inadempienza anche per l’articolo sui licenziamenti che “possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione”, ma “il trasferimento di un’impresa non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario”.

Il tribunale di Lussemburgo ha poi rilevato che i lavoratori Alitalia trasferiti e messi in cassa integrazione sono stati privati dei diritti previsti dall’articolo 2112 del codice civile.

Ed eccoci al punto chiave: lo stato di crisi dell’ex compagnia di bandiera su cui è stata imperniata la difesa degli avvocati italiani. Secondo la Corte, nel caso Alitalia il nostro governo non ha seguito le procedure previste per proclamare un vero stato di grave crisi economica. Quindi, se è vero che la direttiva 2001/23 prevede una serie di deroghe per le imprese insolventi, è altrettanto vero che queste vanno sottoposte a controllo giudiziario. Invece lo stato di crisi dell’Alitalia è stato dichiarato dal Cipi ma l’azienda non è stata posta “sotto il controllo di un’autorità pubblica competente” e nemmeno sotto quello dell’autorità giudiziaria.

Vista con gli occhi dei giudici europei della Corte di Lussemburgo, la privatizzazione Alitalia ci appare finalmente per quella che è stata in realtà: un pasticcio, una spregiudicata operazione politico-elettorale fatta passando sopra leggi, regole e normative comunitarie. Un’operazione da cui escono a pezzi il governo, l’opposizione, i “patrioti” di Cai e anche i sindacati che non hanno saputo difendere i lavoratori nemmeno per salvaguardare diritti riconosciuti dal nostro codice civile e da una direttiva europea vincolante per tutti i paesi dell’Unione.

È sufficiente ricordare come è nata l’operazione della “cordata patriottica” per capire che la Corte europea ha sanzionato solo uno dei tanti, troppi abusi legati al trasferimento dell’ex compagnia di bandiera.


L’abito della nuova Alitalia viene tagliato su misura dei soci Cai. Per farci stare dentro gli azionisti tricolore chiamati, come aveva suggerito Berlusconi, a mettere sul tavolo solo “una fiche”. Appena insediato, il nuovo governo non va troppo per il sottile e decide di procedere a colpi di deroghe.L’ultima della serie, approvata in via definitiva il 23 ottobre 2008 dal Senato, viene infilata direttamente nel “decreto Alitalia”. Una norma salva-precari che permetterà ai “patrioti” di assumere personale a tempo determinato.

Il primo regalo era arrivato il 27 maggio 2008, appena dodici giorni dopo l’insediamento di Berlusconi a Palazzo Chigi. I 300 milioni di euro del “prestito ponte”, concessi un mese prima dal governo Prodi, vengono trasformati in patrimonio. Un colpo di bacchetta, et voilà, il debito diventa capitale. Con buona pace di Bruxelles e della normativa europea che vieta gli aiuti di Stato.

Passano sette giorni e, il 3 giugno, un nuovo decreto cancella le regole sulle dismissioni statali che imponevano procedure “trasparenti e concorrenziali” per le partecipazioni del Tesoro. La legge 474/94 e i vincoli imposti da Bruxelles non rappresentano più un ostacolo.

La deroga viene estesa anche agli obblighi informativi che Alitalia, società quotata, aveva nei confronti  della Consob. Il titolo esce dalle quotazioni.

Il 28 agosto 2008 arriva la sospensione delle regole Antitrust. Altra cosa vietata dalla normativa europea. Nello stesso provvedimento si autorizza il commissario straordinario ad aggirare la cosiddetta legge Marzano, che fissava le procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. In questa maniera, Fantozzi non ha più l’obbligo della gara pubblica e può procedere senza intralci alla trattativa privata.

Anche qui, tutto su misura. L’acquirente c’è già: Cai. È stata individuata pure la “primaria istituzione finanziaria indipendente” che dovrebbe fissare il prezzo dell’Alitalia scaricata dai debiti. Il 4 settembre il ministro Scajola affida la valutazione ad una banca d’affari milanese: la Banca Leonardo.

C’è un piccolo problema: tra gli azionisti dell’advisor scelto dal governo figurano tre soci Cai, ossia tre acquirenti Alitalia, Benetton, Ligresti, Tronchetti Provera. Ma, a sentire Scajola il conflitto d’interessi non esiste, perché le quote nella banca dei tre che avrebbero dovuto fare il prezzo “sono infinitesimali”. Sta di fatto che ormai nemmeno un commissario docile come  Fantozzi si fida più e il 9 settembre nomina un proprio advisor: la banca Rothschild…

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