Tra passato e futuro

Scritto da Pietro Pallini

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Decenni di progresso tecnologico e di crescente automazione hanno senza dubbio reso il volo più sicuro, ma hanno anche introdotto un pericolo più subdolo: quello di impoverire professionalmente e lasciare gradualmente ai margini del processo decisionale i piloti.

Al giorno d'oggi, in realtà, una volta lasciate alle spalle le convulse fasi del decollo e della prima parte della salita, ormai raggiunta la quota di crociera e in attesa dell'atterraggio, ai piloti rimane ben poco da fare: verificare che i computer di bordo facciano seguire all'aereo la rotta inserita prima del decollo, rispondere a qualche chiamata radio e controllare che gli impianti funzionino correttamente. I piloti rischiano insomma di diventare quasi dei passeggeri dell'aereo che stanno pilotando, e in queste condizioni può essere facile perdere quella che viene chiamata "situational awareness", la consapevolezza della situazione globale.

In definitiva, la crescente automatizzazione, se da un lato ha senz'altro aumentato i livelli di sicurezza, ha dall'altro creato una confortevole sensazione di fiducia e la falsa illusione che la possibilità di dover fare uso delle proprie capacità basiche di pilotaggio sia tutto sommato un'eventualità abbastanza remota.

Solo una quarantina di anni fa, la gestione dei vari impianti di bordo, non automatizzati come quelli di oggi, richiedeva ai piloti una costante attenzione e tutta una serie di piccoli interventi che andavano dalla regolazione della spinta dei motori in funzione di peso, temperatura e quota all'aggiustamento dei parametri dell'impianto di pressurizzazione e condizionamento, dal bilanciamento del carburante nei vari serbatoi alla sintonia dei radioaiuti necessari alla navigazione, dalla correzione degli effetti del vento al calcolo esatto della propria posizione.

Tutti compiti che in varie epoche hanno anche richiesto la presenza a bordo di altri membri di equipaggio. Il progredire dell'automazione ha affidato queste operazioni prima ai piloti, eliminando così le figure professionali del marconista, del navigatore e del motorista, e poi direttamente ai computer di bordo.

I quali computer, se correttamente impostati durante la preparazione del volo, fanno talmente bene il loro lavoro che non c'è praticamente la necessità di apportare correzioni. E quand'anche ce ne fosse bisogno, questa correzione viene comunque impostata tramite una tastiera... tanto che qualche anno fa girava una battuta secondo la quale per farsi assumere da una primaria compagnia aerea americana, la prova più difficile consisteva nel dimostrare di saper dattilografare alla velocità di 100 battute al minuto.

In parole povere una volta, anche quando andava tutto perfettamente liscio, durante il volo c'era continuamente da fare qualcosa, e questo qualcosa contribuiva a mantenere viva l'attenzione dei piloti nei confronti del loro lavoro. Così la "situational awareness" era davvero difficile da perdere, i piloti erano sempre coscienti di ciò che stava succedendo, il loro grado di allenamento nelle abilità basiche di pilotaggio era più alto, e il loro intervento aveva maggiori possibilità di essere appropriato e tempestivo.

Appropriatezza e tempestività che ancora oggi sono richieste quando, a causa di una qualsiasi avaria (gli automatismi sono passibili di guasti) o di un evento imprevisto (gli automatismi non sono in grado di prendere decisioni autonome in condizioni che escono dall'ordinario), i piloti devono tornare, in fretta e bene, a ricoprire il loro ruolo basilare di ultima barriera contro l'incidente.

In fin dei conti, il miglior impianto di sicurezza a bordo di un aereo resta l'uomo che lo pilota, e tutta l'organizzazione del processo industriale aeronautico, dalla progettazione all'addestramento, dovrebbe essere finalizzata proprio a far sì che questo "impianto" sia sempre messo in condizione di lavorare al meglio.

(26 luglio 2010)