Professione pilota - intro

Scritto da Antonio Chialastri

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Volo e filosofia sono due attività che sembrano agli antipodi.

Il primo è essenzialmente operativo, pratico, veloce; la seconda è speculativa, teorica, ha bisogno di tempi lenti nell’elaborazione di un logos intorno ad un argomento.

Non a caso, in una discussione tra piloti, quando si vuole ridicolizzare una delle posizioni, si dice, appunto, “stiamo facendo filosofia”, qualcosa cioè di totalmente estraneo, lontano, incompatibile con il nostro mondo. Eppure, mai come oggi, c’è bisogno di riflessione sui fondamenti della nostra professione, che un atteggiamento eccessivamente “da pilota” ha ridotto ai minimi termini. I primi tempi dell’aviazione furono caratterizzati da “aerei di legno e piloti di ferro”, sostituiti oggi da “aerei di plastica guidati da un computer”.

Intorno agli anni ’60, per una persona normale, e nell’immaginario collettivo, veder scendere dalla scaletta dall’aereo un comandante con la sua uniforme bianca, dopo aver volato nella notte oceanica seguendo le stelle dell’emisfero sud, era un po’ come l’apparizione di un semi-dio.

Era il comandante di una volta. Prima di tutto un comandante, poi anche un pilota. Totalmente fuori dalla media, istrionico, eccentrico, ma dotato di savoir faire, di porsi da pari con ambasciatori, diplomatici, ministri, delegazioni straniere. Cittadino del mondo che del suo continuo peregrinare aveva fatto uno stile di vita. Gradualmente, con l’espansione dei viaggi aerei e l’allargamento della base dei clienti presenti sui voli intercontinentali, ma soprattutto nel serbatoio di aspiranti piloti da selezionare, questa figura è stata ridimensionata.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un ulteriore regresso dello status professionale del pilota, talmente serio e drastico, che impone una riflessione attenta sulla professione e sull’ambiente lavorativo in cui andremo ad operare. Nei primi anni ’90, da perno intorno al quale ruotava l’attività di volo, modellandosi sulla figura del manager operativo, il pilota è stato progressivamente relegato a un ruolo di operatore di sistema, mero esecutore di policies decise altrove. Un ridimensionamento che si evidenzia in diversi ambiti: a bordo, in aeroporto, in azienda, nei rapporti con le istituzioni e con l’opinione pubblica.

Le cause di questo fenomeno vanno ricercate a 360°, cominciando dalle caratteristiche individuali del pilota, per passare al tipo di aggregazione collettiva che riesce a determinare una categoria di lavoratori fortemente caratterizzati, sino ad esaminare le dinamiche relazionali tra sindacati e le compagnie aeree che si sono sedimentate nel tempo. In definitiva, è riduttivo localizzare le cause di questo degrado solo su ciò che accade a bordo, mentre è necessario individuare le tendenze di medio-lungo periodo che interesseranno sempre più la nostra professione con i connessi scenari con i quali ci dovremo confrontare nel prossimo futuro.

La convinzione principale da cui prende spunto questa serie di testi è che il nemico principale del pilota sia il pilota stesso; così nemico che, negli ultimi anni, ha adottato una politica masochistica di distruzione sistematica delle basi della propria professione. Si è auto-relegato in una riserva protetta nella quale, però, rischia di rimanere soffocato se non sarà in grado di rispondere alle forti pressioni economiche ed organizzative che il sistema del trasporto aereo sta progressivamente amplificando.

Lo spirito critico, tipico dell’istrione degli anni ’60 di cui abbiamo parlato, sta diventando merce sempre più rara, immerso in un mare di conformismo che rende la figura media del pilota una comparsa più che un attore principale del volo.

(23 ottobre 2009)