Just Culture

Scritto da Antonio Chialastri

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Partendo dall’assunto che l’uomo è un essere fallibile e dato per assodato che l’errore umano è ineliminabile nelle operazioni di volo, risulta più proficuo parlare di gestione dell’errore, piuttosto che di eliminazione. Tre sono, sostanzialmente, i livelli di intervento: avoid, detect, mitigate.

A livello avoid (evita che succedano errori) si può parlare sia a livello organizzativo, sia a livello individuale. A livello organizzativo è importante una cultura della condivisione degli errori, in modo tale che delle fonti di pericolo, reale o potenziale, siano portate alla luce per prendere le relative contromisure. Anche e soprattutto nel caso dell’errore, vale lo slogan: “Se lo conosci, lo eviti”.

È difficile, però, per un’organizzazione, fare in modo che chi sbaglia si auto-denunci, poiché egli tenderà a rimuovere i propri errori. I motivi vanno da banali motivi di auto-stima (“io che sono bravo non posso fare questi errori”) e di percezione sociale (“cosa penseranno di me, se dico di aver sbagliato?”), ad altri di ben altra rilevanza, sia organizzativa (“se dico di aver sbagliato, mi gioco la promozione ad un incarico più prestigioso”), sia di tipo penale (“se queste cose le venisse a sapere un giudice, potrebbe imputarmi”).

Preliminare alla diffusione di una cultura della condivisione dei propri errori è quel clima organizzativo che Reason chiama Just Culture, cioè cultura dell’equità. Se l’organizzazione non riesce a convincere i propri appartenenti ad avere fiducia nella propria dirigenza, convincendola che essa è orientata ad aumentare i livelli di sicurezza, l’obbiettivo è irraggiungibile. Come creare questo clima di fiducia?

Chiarendo che la conoscenza degli errori è fondamentale, che il riporto volontario di eventuali errori commessi non sarà punito, che vi è una netta differenza tra violazioni volontarie ed errori. Ciò non significa che se qualcuno si rende colpevole di una violazione volontaria che causa danni a cose o persone, esso sia da proteggere a tutti i costi. L’organizzazione deve esplicitare la linea di demarcazione tra ciò che è ammesso (e che può capitare a tutti) e ciò che invece è punibile.

Ovviamente, il contesto normativo deve essere adeguato alla diffusione di una cultura della sicurezza che incoraggi i piloti a riportare eventi significativi per la sicurezza individuale e del sistema. È utopico sperare di istituire tale clima organizzativo, prescindendo da ciò che avviene ad altri livelli, come ad esempio nel caso in cui, di fronte ad una confessione di un errore commesso e non punibile da parte dell’organizzazione, vi siano poi azioni penali intraprese a livello giudiziario.

Il fine dell’individuazione di errori che hanno portato ad un incident (quindi senza conseguenze gravi) è che l’apprendimento che ne consegue può evitare di incorrere negli stessi errori, evitando eventualmente di incappare in conseguenze più gravi. Diciamo che c’è una finalità utilitaria dietro questo atteggiamento, che può essere condensata nella domanda: ottengo più sicurezza punendo i responsabili degli errori oppure chiedendo la collaborazione nell’individuazione di aree di rischio che non posso rilevare senza il loro aiuto?

Quindi, un’organizzazione si può tutelare contro l’insorgenza di errori in ambito operativo attraverso la prevenzione che in questo caso consiste nel venire a conoscenza di aree di rischio e disseminare l’informazione tra la popolazione al fine di rendere consapevoli gli operatori di rischi che altrimenti non avrebbero percepito per tempo. L’istituzione di procedure codificate permette altresì di fornire agli equipaggi degli strumenti per affrontare la complessità dell’ambiente operativo.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(23 maggio 2012)