Giovani piloti crescono

Scritto da Antonio Chialastri

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In questo momento, dicevo, il giovane pilota è nella fase della massima pericolosità. Crede di sapere, ma  in effetti, sa solo districarsi nella routine. Però il pilota non sta lì per gestire la routine, ma per rispondere al meglio in caso di emergenza in mezzo al brutto tempo.

L’affidabilità dei moderni aerei non deve far mai dimenticare che, come nel gioco del cerino acceso, prima o poi l’aereo con la magagna ci capiterà tra le mani. Basta leggere i reports di un qualsiasi ufficio sicurezza del volo per capire che le emergenze capitano, non solo agli altri.

 

Si sa che esistono piloti vecchi, piloti coraggiosi, ma non ci sono vecchi piloti coraggiosi. Il giovane copilota deve necessariamente arrivare ad un proprio modo di volare in sicurezza che passa attraverso esperienze negative che rivelano dove si trova il limite oltre il quale è consigliabile non andare per diventare vecchi piloti. Spesso, il limite viene illustrato da un comandante più anziano che ci racconta delle storie, oppure ci riporta alla realtà imponendoci in modo burbero l’osservanza delle regole del volo, oppure attraverso esperienze reali con le quali ci dobbiamo confrontare.

Chi ci tramanda la professione sono i colleghi più anziani, ma chi risolve i problemi strutturali legati alla professione sono , o dovrebbero essere, le rappresentanze ufficiali: sindacati e associazioni professionali.

Come in tutte le attività umane, ci si rende conto pian piano che i processi lavorativi hanno delle lacune, delle ambiguità, delle contraddizioni sia dal punto di vista professionale che di qualità della vita. Ciò che si faceva senza fatica, quando l’entusiasmo era il primo motore e si era disposti a lavorare anche gratis, comincia a diventare lentamente più pesante man mano che ci si abitua al tipo di vita. Infatti, non è tanto la quantità di lavoro, che pure è tanta (sono pochi quelli che lavorano dodici ore al giorno come dipendenti), ma il ritmo forsennato che in alcuni casi rende il lavoro un’attività quasi anaerobica, in apnea. Ci si rende conto che, proiettati sul lungo periodo, questi ritmi sono insostenibili. Però, il nostro rapporto individuale con l’azienda, se questa è di notevoli dimensioni, non permette di far valere le proprie ragioni in modo razionale, dato che le dinamiche industriali rendono il pilota un’entità anonima, in particolar modo quando si ricopre la carica di copilota.

Giovane, sconosciuto, senza esperienza, con tanta strada davanti, il copilota viene considerato poco nel suo ambiente e la sua opinione non trova molto credito tra i colleghi. Come esprimere il proprio disagio? Il modo più semplice è quello di iscriversi ad un sindacato, che però, come vedremo, oggi presenta alcuni elementi dissonanti rispetto alle proprie aspettative.

(11 novembre 2009)