Dall'attenzione alla memoria

Scritto da Antonio Chialastri

Stampa

Ciascuno di noi è in grado di ricordare alla perfezione, come se fosse ieri, una gita scolastica risalente a molti anni fa, semplicemente perché le emozioni che accompagnarono quell’esperienza erano così intense che la fotografia fatta alla realtà è venuta nitida.


Al contrario, non ricordiamo un giorno qualsiasi, nuvoloso, noioso e insignificante, anche perché non abbiamo investito emotivamente nel raccogliere l’esperienza in un percorso significativo.

Affinché gli impulsi siano memorizzati è necessario che essi raggiungano ed oltrepassino la soglia della consapevolezza, e che quindi siano selezionati attraverso l’attenzione. In ogni caso, il processo dell’attenzione immagazzina grandi quantità di impulsi e li elabora a livello subliminale (sotto il livello di coscienza) e di conseguenza ogni dato percepito coscientemente è sempre accompagnato da un particolare sfondo illustrativo. Sono famosi gli esperimenti condotti dagli psicologi di scuola comportamentista, che hanno mostrato alcune dinamiche definite di stimolo-risposta o di riflesso condizionato.

In questi esperimenti venivano associati due stimoli concomitanti per indicare che la presenza di uno era un forte indizio della presenza dell’altro. Ad esempio, se ad un cane si faceva vedere una ciotola del cibo accompagnata da una luce rossa, ogni volta che il cane notava l’accensione della luce rossa, inevitabilmente cominciava a salivare, in attesa della materializzazione della ciotola.

Un’altra variante dell’esperimento era portata avanti con un campanello acustico ed una scossa elettrica. Se ad ogni scossa elettrica applicata si associava un campanello acustico, quando il cane sentiva il campanello mostrava segni di paura relativi all’aspettativa di dolore.

Sembra strano, ma a bordo una gran parte dei compiti del pilota è svolta in modo semi-automatico, vale a dire la maggior parte dei gesti compiuti sono per lo più routinari e innescati da un evento scatenante. Infatti, ci sono delle chiamate che richiedono una risposta verbale o un’azione conseguente. Se una persona dovesse tenere a mente ed effettuare tutte le operazioni che compie un pilota di linea in una giornata di lavoro probabilmente saturerebbe la memoria molto prima di cominciare a lavorare, quindi ci si affida ad azioni che richiedono il minimo sforzo mnemonico, possibilmente associate ad altre situazioni, chiamate o azioni.

Durante la fase di messa in moto, al parcheggio, si legge una check-list dove si richiama l'attenzione sulla posizione del freno di parcheggio, che deve essere inserito (Set). Paradossalmente, se durante il volo un pilota si girasse improvvisamente verso l’altro chiamando, come nella check-list di cui stiamo parlando: “Parking brake!”, l’altro risponderebbe al 90% “Set!”.

E' la forza dell’abitudine che si manifesta in quelli che sono definiti automatismi: le informazioni possono essere processate anche senza ricorrere a dispendiosi impieghi di energia mentale.

Questo fenomeno è chiamato automatismo, e permette di ridurre l’energia impiegata per svolgere i propri compiti del 90%. In pratica, il pilota nella propria attività quotidiana effettua molte operazioni letteralmente senza pensare coscientemente. Lo stesso avviene quando si scrive al computer; una volta che la tecnica di scrittura sulla tastiera è assimilata, si batte sui tasti senza più pensare alla posizione delle lettere. Quindi, le dita vanno letteralmente “da sole”. Il rovescio della medaglia è che ci sono cose fatte per effetto dell’abitudine che invece non andrebbero fatte.

Quando si parla di impiego a bordo degli automatismi, o quando si costruiscono nuovi sistemi, occorre contestualizzare questa modalità di lavoro del pilota perché essa richiede una modificazione delle abitudini che incrementa di molto, nei primi tempi, il livello di energia richiesto per condurre la macchina. Infatti, se dovessimo pensare a tutto ciò che facciamo a bordo, ne conseguirebbe un rallentamento delle operazioni, particolarmente insidioso in situazioni di emergenza.

L’attivazione delle aree cerebrali è massima durante l’acquisizione di una competenza specifica, quando si deve comprendere un compito utilizzando tutte le risorse cerebrali per capire le informazioni rilevanti ed assimilarle nella memoria, mentre una volta che abbiamo capito come dobbiamo comportarci, utilizziamo una parte ridotta del cervello.

E questo ci facilita nello svolgimento di quei compiti automatici dei quali abbiamo parlato a proposito del lavoro a bordo.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(4 aprile 2013)