Cos'è una professione?

Scritto da Antonio Chialastri

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Il percorso che stiamo facendo alla ricerca dei fondamenti della nostra professione non può prescindere dalla distinzione tra professione e mestiere. La professione implica sempre una comunità di riferimento, il mestiere si tramanda individualmente. La professione è pensiero e azione, il mestiere agisce e basta.

Il professionista ha accumulato un sapere sul proprio operato che affonda le sue radici in un terreno di coltura in cui sono presenti anche le riflessioni sul proprio agire da parte di personaggi del passato, che ne hanno elaborato astrattamente le linee fondamentali. Il mestiere è qualcosa che permette di fare, di produrre, anche con discreta perizia, ma senza avere un patrimonio culturale, storico cui attingere per identificarsi e innovare nel proprio ambito.

Per fare un esempio concreto, guardiamo alla medicina, una professione molto simile alla nostra. Infatti, il chirurgo, come il pilota, usa la testa, ma lavora con le mani. Non a caso nelle opere di Platone troviamo spesso l’accostamento tra il medico e il pilota, come esempio di chi sa; di chi applica la propria profonda conoscenza per districarsi nella multiforme variabilità delle situazioni reali.

Innanzi tutto, la professione ha una storia, cui viene attribuito talvolta un inizio mitico. La medicina ha adottato Asclepio come nume tutelare della disciplina; vi sono poi eroi della disciplina come Ippocrate, figura umana di medico che si oppone al corso naturale, interpretando i segni secondo una tassonomia degli umori; Galeno, che dà lustro e dignità alla professione, rendendola arte nobile nella percezione sociale; quando si tramanda per molto tempo, nella professione arriva il momento molto importante della codificazione, come nella scuola medica di Salerno sotto Federico II di Svevia, di un percorso formativo istituzionalizzato che tramandi di generazione in generazione il sapere accumulato e gelosamente custodito dai tutori della professione. Medici di tutte le epoche hanno contribuito a custodire, a migliorare, a tramandare il sapere con una dedizione quasi religiosa.

Al giorno d’oggi, con la presenza pervasiva della tecnologia nei processi lavorativi, c’è una re-definizione del ruolo e della missione attribuita alla professione medica da parte della società. Nascono nuovi codici deontologici, nuove figure di riferimento, nuove aspettative. Nonostante ciò, anche laddove la tecnologia è divenuta indispensabile per diagnosi e terapia, la figura insostituibile del medico si pone come centrale nei processi decisionali riguardanti la salute. Non siamo ancora arrivati a farci fare le diagnosi da un computer, anche se ciò è tecnicamente possibile.

Non solo. Ma anche lo studente di medicina che si laurea con 110 e lode e un curriculum di tutto rispetto non gode della considerazione che ha il primario che opera da trent’anni. La differenza tra i due è l’esperienza. Ed è quello che rende il primario una persona affidabile, mentre il laureato fresco di studi un’incognita che parte con le migliori intenzioni. Quello che sa deve dimostrare di saperlo applicare integrandolo con molte altre qualità e con i risultati che durante la sua carriera saprà raggiungere. Ma a priori, sono pochi quelli che si farebbero mettere le mani addosso dal medico appena laureato.

In sintesi, notiamo che nella professione medica personaggi, istituzioni, corpus dottrinale, auto-reclutamento, identità di gruppo, condivisione della stessa etica professionale (il giuramento di Ippocrate è il primo documento di etica professionale in questo senso), fanno parte di uno spirito di appartenenza del singolo, che si sente accomunato al destino della propria cerchia, attraverso un processo di identificazione all’interno e di differenziazione con l’esterno.

Il pilota condivide molte di queste caratteristiche con il chirurgo. Gode di un discreto prestigio sociale, di uno status che fino a poco tempo fa lo poneva nell’elite lavorativa di questo Paese. Non a caso, nell’istituzione dell’IRI, che era azionista di maggioranza dell’Alitalia, si posero dei limiti alla possibilità di impiego di diversi membri della stessa famiglia all’interno di una struttura che aveva come compito istituzionale la diffusione del benessere, garantendo così un introito al maggior numero possibile di famiglie.

Infatti, gli assistenti di volo non potevano essere assunti se nell’azienda era già presente un familiare. Non così per i piloti, i quali, essendo personale altamente qualificato, erano necessari per lo sviluppo e la crescita della compagnia. Questa possibilità è dimostrata dalla presenza di più generazioni di piloti con lo stesso cognome. Caso abbastanza raro di presenza di dinastie di lavoratori all’interno di un’azienda, senza adottare il criterio del nepotismo.

(6 dicembre 2010)