Come si forma un pilota-2

Scritto da Antonio Chialastri

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Dato che la trasmissione della professione avviene per imitazione, quali caratteristiche deve avere un formatore? Capacità di comunicare, leadership, empatia, conoscenze tecniche, esperienza, ed altre caratteristiche che ogni individuo spontaneamente porta con sé.

Caratteristiche che richiedono una adeguata riflessione sul proprio operato, anche se sembra che questo aspetto meta-cognitivo non sia adeguatamente sviluppato nelle nostre grandi strutture addestrative organizzate.

Oltre che nelle fonti, la conoscenza del pilota è particolare rispetto alle proprie finalità, poiché è eminentemente pragmatica, applicativa: non bisogna solo sapere, ma saper fare, e fare bene.

Qui troviamo l’importanza della formazione e dell’addestramento come baluardo contro l’incidente. Una conoscenza lacunosa, imprecisa, inesatta, contraddittoria, può portare ad azioni non idonee a risolvere situazioni di emergenza.

La consapevolezza che l’errore è sempre in agguato e inestricabile dal processo stesso della conoscenza ha portato, nel campo della formazione dei piloti, a parlare non di eliminazione dell’errore, ma di gestione dell’errore (error management).

Ma vediamo in quali aree si interviene durante la formazione di un pilota di linea. In sintesi sono tre: abilità, conoscenza delle regole e atteggiamenti di ruolo.

C’è un aspetto puramente “ginnico”, rappresentato dai cosiddetti skills, l’abilità psico-fisica a portare a termine un compito che richiede competenze di ordine psico-motorio. Quest’area è fondamentale per un pilota alle prime armi, poiché, muovendoci in un ambiente innaturale come l’aria, che ha tre dimensioni, dobbiamo familiarizzarlo alla sua posizione spaziale ed alle relative variazioni.

L’altro aspetto è quello della conoscenza tecnico-procedurale e si acquisisce per interiorizzazione dei razionali che si celano dietro la regola. Le norme di volo, a differenza di altri tipi di norme, devono essere viste come delle risorse che ci facilitano il lavoro, rendendolo più sicuro, veloce ed efficiente. La capacità di derogare da esse va di pari passo con la loro assimilazione come strumento di sicurezza ed ogni allontanamento da esse deve essere sempre vissuto con disagio a meno che non ci sia un evidente motivo di sicurezza.

Infine, gli atteggiamenti di ruolo, in un equipaggio multicrew, sono fondamentali per condividere obbiettivi, gestire le risorse disponibili a bordo, smussare eventuali conflitti tra i membri di equipaggi che possano avere un effetto negativo sulla prestazione del gruppo. Sono le abilità sociali.

Nella storia dell’aviazione la curva degli incidenti si è attestata su un valore più o meno stabile, ma questo valore viene imputato a cause differenti in funzione del periodo storico. Da problemi di skill degli anni ’50, quando non erano disponibili sistemi automatici di condotta, si è passati a problemi di flight management (interazione uomo-macchina) con l’introduzione degli automatismi come l’autopilota, per arrivare ai problemi di interazione umana all’interno dei cockpit che hanno dato, negli ultimi trent’anni, vita agli studi di human factor nell’aviazione commerciale centrata sulle abilità sociali.

Dunque, qual è l’obbiettivo della formazione dei piloti oggi, nel 2008?

L’obbiettivo è sempre subordinato all’esigenza della sicurezza del volo, dato l’enorme impatto mediatico che un incidente aereo ha nella società globalizzata. Un evento infausto avvenuto dall’altra parte del mondo ha ripercussioni immediate nei comportamenti dei passeggeri che devono andare da Roma a Milano. Un incidente, oltre ad essere un dramma per le vittime ed i loro familiari, è un elemento destabilizzante per qualsiasi aerolinea, che nella competizione internazionale può soccombere se solo viene percepita come “unsafe”.

(24 febbraio 2010)