Imparare ad atterrare

Scritto da Franco Di Antonio

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E’ l’ultima manovra basica che un pilota in addestramento impara ad eseguire, perché è quella più complicata da acquisire. I numerosi incidenti occorsi in atterraggio negli ultimi tempi fanno però pensare che qualcosa stia cambiando nel mondo delle scuole di volo.

Quando abbiamo iniziato noi, della vecchia generazione, si cominciava con i cosiddetti voli di ambientamento: l’istruttore ti portava a spasso facendoti acquisire familiarità con l’ambiente di volo, perché, si diceva, se fossimo stati fatti per volare, allora avremmo avuto le ali. Quando apparivi sufficientemente tranquillo si iniziava l’addestramento vero e proprio.

Ovviamente si partiva dal decollo (senza decollo non c’è volo), una manovra delicata ma non complicata, basta fornire la potenza richiesta al motore e tenere nella direzione di pista l’aereo, e questo grazie all’aumento di velocità tenderà ad alzarsi quasi da solo. Una volta per aria l’istruttore ti spiegava come girare (virare) a destra e sinistra, andare verso l’alto e verso il basso, e naturalmente anche i rischi di queste manovre, perché variando l'assetto dell’aereo occorre cambiare la potenza del motore, coordinare i vari movimenti ed acquisire la cognizione della propria posizione nello spazio a tre dimensioni.

“Guarda là, guarda qua, metti il muso verso tal zona, dirigiti verso talaltra” queste le indicazioni che fornisce l’istruttore. E la radio la usa quasi esclusivamente lui, te sei troppo imbranato per capire anche cosa significhino quei rumoracci che ti arrivano in cuffia: per ora solo uno strumento di tortura.

Dopo una bella sudata l’istruttore ti riporta a terra, e tu segui la manovra con la massima attenzione ma nessuno ti spiega nulla finché non hai acquisito un minimo di dimestichezza con il mezzo. Sarà l’ultima, ma proprio l’ultima delle manovre basiche che ti insegneranno, perché è la più complessa ed occorre saper manovrare l’aereo abbastanza bene per esercitarsi nella manovra principe del volo: tornare a terra sani e salvi.

Cosa si deve apprendere per manovrare “il coso” per farlo posare dolcemente sulla pista (o agli inizi anche un prato)? Una volta imparato ad orizzontarti nella zona di volo intorno al campo e imparato a comunicare con chi in torre di controllo cerca di farti evitare scontri con altri aerei, riuscirai ad arrivare nella posizione che si chiama “finale”, cioè allineato con la pista ad una quota ed una distanza stabilite e con la velocità prevista per il tipo di aereo che stai imparando a manovrare.

Ora se non hai valutato male le condizioni meteorologiche, vedi bene la pista, e il tuo compito è arrivare sul cosiddetto punto di ottimo contatto, o come dicono gli inglesi TDZ (Touch Down Zone), che è chiaramente indicato sulla pista da una specie di attraversamento pedonale che noi chiamiamo “pettine”.

Sarebbe bello poter puntare il punto ed indirizzarcisi, ma non funziona così. L’aereo in volo normalmente è più veloce di quanto serve in atterraggio, così bisogna ridurre la velocità, e adeguarsi al cambiamento della posizione dell’aereo in volo che ciò causerà (noi lo chiamiamo cambiamento di assetto). Infatti, al diminuire della velocità l’effetto di portanza dell’ala decresce, e per compensare occorre mettere il muso dell’aereo più verso l’alto... è troppo lungo spiegarlo, e poi ci penserà l'istruttore... credetemi sulla parola).

Questo richiede una variazione della potenza del motore per mantenere le velocità nei limiti stabiliti dai manuali (ah! dimenticavo, nel frattempo vi avranno fatto leggere migliaia di pagine e spiegato un milione di fenomeni nelle lezioni teoriche…), ma variando la potenza cambia anche il comportamento dell’aereo, così occorre manovrare adeguatamente i comandi per coordinare il tutto, e la manovra si complica ulteriormente quando si devono estrarre i cosiddetti flap (ipersostentatori, in italiano), superfici mobili che servono per ridurre ulteriormente la velocità in prossimità dell’atterraggio.

E ora comincia il bello, già perché dovrete valutare la distanza dalla pista e capire se siete alti o bassi rispetto al sentiero ideale di discesa, e vedere se siete all’altezza giusta, mantenendo ovviamente nel contempo sia la velocità (manovrando il motore), che la direzione (con i comandi di volo). Insomma. mani piedi occhi e cervello che ruotano come trottole. Se il coordinamento di tutte queste azioni è minimamente rispondente alle specifiche studiate nell’arco di un secolo, vi avvicinerete al punto di contatto in maniera accettabile.

Inizialmente vi faranno avvicinare all’atterraggio solo in assenza di vento, perché col vento le manovre si complicano ed all’inizio è difficile riuscire a fare tutto insieme. Farete decrescere la velocità proporzionalmente al diminuire della distanza dalla pista, in coordinamento con la progressiva diminuzione di quota, e quando sarete ormai a pochi metri da terra, sentirete una voce stentorea: “Ce l’ho io!”

E’ l’istruttore, che prende i comandi per effettuare la cosiddetta riattaccata ed eseguire un nuovo avvicinamento... eh sì, perché la “richiamata”, cioè l’ultima parte dell’atterraggio, la imparerete quando sarete perfetti nell’avvicinamento finale. Dovrete infatti fare una manovra progressiva di chiusura del motore e di innalzamento del muso mantenendo la giusta direzione fino a toccare la pista dolcemente (più o meno, inutile fare i sofisticati).

Al parcheggio, dopo aver spento il motore, l’istruttore vi darà la classica pacca sulla spalla dicendo: “Ci vediamo alla prossima lezione!”.

(18 dicembre 2010)