Alternato

Scritto da Pietro Pallini

Stampa

Quello che i piloti chiamano familiarmente “alternato”, è in realtà un concetto che racchiude tre tipologie di aeroporti, aventi in comune la caratteristica di fornire un “piano B”, un luogo alternativo dove andare a posare le ruote nel malaugurato caso che qualcosa vada storto.


C'è, tanto per cominciare e anche se può sembrare strano, un alternato al decollo, che non è un aeroporto alternativo dal quale decollare, ma un aeroporto al quale dirigersi se durante le primissime fasi del volo si subisce un'avaria al motore. Non ce n'è sempre bisogno, ma è obbligatorio prevederlo in caso di operazioni in bassissima visibilità: con un motore piantato infatti le minime di atterraggio sono più alte, e c'è il rischio di non poter rientrare sulla pista dalla quale si è appena partiti.

La normativa prevede che, per gli aerei a due motori, si trovi a meno di un'ora di volo, considerando che questa ora sarà percorsa alla velocità che noi chiamiamo OEO, one engine out, cioè con un motore inoperativo. Ovviamente, le previsioni meteo per questo alternato al decollo, nella finestra di tempo in cui si prevede di poter essere costretti ad utilizzarlo, dovranno essere sufficienti a consentire l'atterraggio anche senza un motore.


C'è poi il cosiddetto alternato in rotta che, sempre per i bimotori, si deve trovare a non più di un'ora di volo (sempre alla velocità one engine out) da qualsiasi punto della rotta pianificata. Volando in Europa, questo non costituisce quasi mai un problema, anzi, c'è addirittura l'imbarazzo della scelta, e la selezione dell'alternato in rotta, viene fatta sulla base di valutazioni contingenti. In caso di avaria, si cerca quello più adatto a riproteggere i passeggeri, ma se dovessimo avere un malato grave a bordo, allora ci si fionda senza esitazione sul più vicino, chiedendo assistenza medica d'urgenza all'atterraggio.

La questione è leggermente più complicata se si devono sorvolare regioni cosiddette “inospitali”, come oceani, deserti o giungla, cosa che una volta si faceva solo con tri o quadrimotori, ma che oggi è praticata largamente anche con aerei a due soli motori, come il Boeing B-777, o l'Airbus A-330. In questi casi la possibilità di avere un aeroporto a meno di un'ora di volo non c'è, e allora la scelta dell'alternato in rotta viene fatta rispettando le restrizioni imposte dalla normativa ETOPS, riguardanti principalmente la certificazione degli aerei e l'addestramento dei piloti.

Ciò consente di volare anche a quasi tre ore e mezzo di distanza dall'aeroporto più vicino (e il limite sta per essere aumentato fino a cinque, anzi c'è già chi sperimentalmente lo fa), ma le limitazioni imposte sulle condizioni meteo previste agli alternati sono più stringenti.

Inoltre bisogna prevedere il caso della depressurizzazione, che costringe a fare quelle tre ore e passa a 3000 metri di quota, dove si può respirare ma i consumi aumentano enormemente: in certi casi è necessario imbarcare un quantitativo di carburante extra per coprire anche questa remota evenienza.


E finalmente arriviamo all'alternato a destinazione, che è quello più familiare al grande pubblico, anche perché a molti è capitato di andarci: un aeroporto dove andare a concludere il volo se non si può atterrare su quello pianificato.

Le ragioni per cui ciò può succedere sono diverse: la più comune è il maltempo più inclemente del previsto, ma può anche accadere che un aereo che ci precede abbia un'avaria al momento dell'atterraggio e resti fermo sulla pista, o che una radioassistenza si guasti... a me è addirittura capitato di non poter atterrare a Buenos Aires perché la torre di controllo stava andando a fuoco...

E' ovvio dunque che ci si debba sempre portare dietro una certa quantità di carburante per questo supplemento di volo, e che tale quantità sarà ovviamente funzione della distanza in più da percorrere: è quello che si chiama alternate fuel. In linea di massima, si cerca di scegliere un aeroporto vicino a quello di destinazione, ma è una soluzione che potrebbe rivelarsi affrettata e superficiale: se ad esempio si sta andando a Mosca Sherementievo ed è prevista neve, pianificare come alternato Vnukovo o Domodedovo (che sono a due passi) non è molto saggio, perché se c'è tormenta su un aeroporto, con tutta probabilità anche gli altri due ne saranno interessati.


Insomma, se si parte da Milano in un giorno di nebbia diretti a Calgary in pieno inverno e con brutto tempo sull'Oceano Atlantico, i fattori da tenere in considerazione sono molti, e alla fine ci si potrebbe ritrovare a dover imbarcare diverse tonnellate di carburante in più del solito... carburante che poi magari non serve perché tutto fila liscio.

Quelle tonnellate di kerosene si rivelano in questo caso un costo aggiuntivo perché in un volo lungo anche una sola tonnellata di peso in più provoca un aumento dei consumi di 3 o 400 chili, ma come recita un vecchio detto di noi piloti: “If you think safety is expensive, try an accident”, se pensate che la sicurezza sia troppo cara, provate con un incidente...

(12 ottobre 2012)