In volo col virus

Scritto da Pietro Pallini

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Negli aeroporti l'aspetto più visibile dei provvedimenti presi per bloccare l'espandersi di una epidemia è senz'altro la presenza, generalmente nelle sale di imbarco e sbarco, delle apparecchiature che consentono il controllo della temperatura corporea dei passeggeri.


Di fatto però, e come è logico aspettarsi, un cordone sanitario steso in un aeroporto dove transitano decine di migliaia di persone al giorno (e la maggior parte di queste concentrate in orari abbastanza ristretti) è, per quanto accurato, destinato a presentare qualche falla. E se questo è vero in un aeroporto occidentale, e sono gli stessi responsabili a ricordarcelo, sarà a maggior ragione vero negli aeroporti situati nei paesi dai quali l'epidemia proviene... dato e non concesso che questi ultimi dispongano delle tecnologie e delle risorse necessarie alla messa in atto di detto cordone.

Il che pone immediatamente il problema della presenza di un eventuale portatore del virus all'interno di un aereo, dove la ristrettezza dell'ambiente (soprattutto in certe classi economiche) aumenta le possibilità di contatto tra i singoli. Come se non bastasse, è ormai pratica generalizzata quella di far ricircolare l'aria pompata in cabina dagli impianti di pressurizzazione e climatizzazione allo scopo di risparmiare carburante: in teoria ci sono filtri che dovrebbero garantire un adeguato livello di salubrità dell'aria ricircolata, ma la pratica ha dimostrato che non sono poche le compagnie che su questo aspetto della manutenzione tendono ad essere un po' elastiche... e non certo infittendo controlli e sostituzioni dei filtri stessi.

Va però detto che in concomitanza con eventi eclatanti come le varie epidemie di SARS, influenza aviaria, peste e, adesso, Ebola, le compagnie hanno dato in genere prova di una buona reattività, e il caso della Frontier Airlines di pochi giorni fa ne è un esempio. Naturalmente i provvedimenti non si devono limitare a “chiudere le stalle dopo che i buoi sono scappati”, mettendo in quarantena un aereo e rintracciando tutti i passeggeri che ci hanno volato dal momento del presunto contagio in poi.

In casi del genere la prevenzione è fondamentale, e in questo senso le compagnie (e soprattutto quelle la cui rete operativa si estende ai paesi a rischio) giocano di anticipo. Già da diversi anni a questa parte sono infatti presenti a bordo (oltre agli ormai tradizionali First Aid Kit e Doctor's Kit) anche i cosiddetti Biological Risk Kit, che comprendono materiali di protezione (maschere, guanti e occhiali) da indossare durante le operazioni di isolamento e primo soccorso di passeggeri che mostrino sintomi di malattia contagiosa. Nei kit sono previsti anche materiali idonei a procedere a una prima bonifica dell'aereo, e in particolare alla rimozione di eventuali fluidi corporali del soggetto interessato.

Nel caso dell'ultima epidemia di Ebola, molte compagnie avevano già reagito ai primi segnali di allarme dell'OMS riducendo (o azzerando) il numero dei voli da e per le zone interessate, e comunque rinforzando l'equipaggiamento di bordo. E siccome l'equipaggiamento da solo non basta, anche l'informazione e l'addestramento (e il ri-addestramento) sono stati intensificati. Parallelamente all'installazione dei kit a bordo degli aerei, infatti, occorre ovviamente definirne le procedure d'impiego, preparare le relative check-list, e addestrare adeguatamente coloro che quei kit dovranno usare.

Il fatto che molte (anche se non tutte) compagnie si siano mosse con buona tempestività, quando ancora l'Ebolavirus sembrava confinato alle periferie di alcune metropoli africane, e di avere dispiegato i mezzi necessari, non può tuttavia far dimenticare che in presenza di virus estremamente contagiosi anche queste precauzioni possono rivelarsi inutili. Per convincersene basta pensare che i primi casi di contagio da Ebola fuori dal continente africano (Dallas e Madrid) si sono verificati all'interno di strutture mediche dove si era ben coscienti di avere in trattamento pazienti affetti dal morbo, e sono stati a carico di personale paramedico specializzato.

E non ci si può certamente aspettare che piloti e assistenti di volo, che per quanto ben addestrati sono pur sempre personale navigante e non medico, riescano, nel ristretto spazio di una cabina di aereo, a fare quello che dei professionisti addestrati ad hoc e operanti in strutture dedicate non sono riusciti a fare, e cioè evitare l'espandersi del contagio.

Il che nulla vuol togliere all'importanza delle risorse materiali, addestrative e umane dispiegate dalle compagnie aeree, e alla fiducia che in esse si può (e si deve, se si vuol continuare a volare) riporre.

(25 ottobre 2014)