Del granchio e di altri animali

Scritto da Stefano Sartini

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Chi va piano va sano e va lontano. Ecco, a questo proposito, alla quarta lezione del mio corso di volo sul deltamotore ho scoperto una falla nel saggio proverbio. E non tanto per problemi di stallo come avviene sugli aerei. Far stallare un delta è infatti un’impresa più teorica che reale.

Anche spingendo la barra fino alla massima estensione delle braccia, è difficile farle toccare l’antistallo, cioè il tubo che “chiude” anteriormente il delta. E anche assumendo questa posizione, l’angolo di incidenza assunto non supera i fatidici 18 gradi, valore oltre al quale l’ala del delta tende a stallare. Dico “tende” perché, in realtà, la sua particolare configurazione e svergolatura fanno sì che stalli prima la porzione centrale dell’ala, mentre le estremità, che si trovano in posizione più arretrata e con minore incidenza, continuano a volare, cioè a sviluppare portanza.

In questo modo si genera un momento picchiante tale da permettere di riprendere velocità. Praticamente è sufficiente permettere alla barra di tornare in posizione neutra e il delta esce da solo dalla situazione, chiamiamola di pre-stallo.

Allora il problema dov’è? Calma e gesso, è il caso di riassumere, almeno sommariamente, i passi e le manovre che ho affrontato fino ad ora...

Dunque, fin dalla prima lezione io, l’allievo, sono seduto al posto anteriore e ho a disposizione tutti i comandi. Non è sempre così, anzi ho scoperto che spesso avviene il contrario e i primi passi da allievo si fanno sul sedile posteriore agendo sulla sola barra (che ha delle prolunghe in modo da poter essere impugnata anche da quella posizione) insieme all’istruttore. In realtà anche se l’istruttore è seduto dietro, agendo sui doppi comandi permette comunque all’allievo di concentrarsi sulla sola barra; però la sensazione è diversa, l’allievo quasi non si accorge e, senza ostacoli fra lui e l’orizzonte, ha l’immediata percezione dell’assetto del velivolo nello spazio.

E’ sera, l’aria è calma, in decollo l’accelerazione è gestita dall’istruttore che ti dice quando avanzare la barra per staccare e ne accompagna i primi spostamenti laterali per farti notare la sensibilità della risposta nelle virate. “Ora tocca a te, la barra è tua, osserva quella collina alberata la in fondo e con piccoli spostamenti di barra cerca di andare dritto in quella direzione”. Fantastico.

Poi semplici virate, sempre più accentuate, poi lente virate di 360 gradi, giri intorno a laghetti fino all’avvicinamento e atterraggio ancora una volta assistito dall’istruttore.

Alla terza lezione sono decollato controllando autonomamente il delta e ci siamo concentrati sulla manovra del “manubrio da bicicletta”, un metodo molto efficacie per entrare in virate decise e quindi uscirne altrettanto decisamente, derivato dalla tecnica di pilotaggio del delta da volo libero. Atterraggio ancora “assistito”.

Ed eccoci alla quarta lezione. Sono le 18.30 e ancora fa molto caldo, abbondantemente sopra i 30 gradi. Sono stanco ma è l’unico giorno in cui ho tempo, da un bel po’ a questa parte. Sdraiato all’ombra della grande quercia che domina il campo deserto, valuto qualche nodo di brezzolina leggera da Ovest, cioè al traverso rispetto l’asse pista. La scena bucolica si interrompe con l’arrivo dell’istruttore: “Dai che si va, oggi proviamo qualche “touch and go”.

Azz, sarà meglio svegliarsi! Controlli, riscaldamento, rullaggio, allineamento, decollo, uscita a destra ancora salendo decisi per evitare il casolare, giretti e 360 con le botte delle ascendenze che si sentono ogni volta che si sorvola un campo di grano. Fin qui tutto bene. Poi sento in cuffia: “Non c’è nessuno, portati in finale, perdi quota e fai un passaggio in asse pista tenendoti a una ventina di metri e attento a tenerlo bello dritto”. Perfetto, a metà pista do nuovamente tutto motore e esco in controbase destra. “Bene, rifai il circuito e portati all’atterraggio ora”. Sono tranquillo, mi porto in finale, prendo la mira sul numero tracciato in testata e cerco di tenere in asse il delta con le piccole variazioni di barra. E qui entra in ballo il vecchio proverbio.

A una quindicina di metri dal suolo cominciamo a imbardare decisamente verso il bordo sinistro della pista. Sono basso ormai, mi spavento e correggo con troppa decisione, il delta butta giù la semiala destra, cerco anche di richiamare, esagero anche in questo e alla fine tocco prima con il lato destro del carrello, poi quasi contemporaneamente con il sinistro e il ruotino anteriore. Il risultato è stato una serie di toccate e rimbalzi finché tirando decisamente la barra al petto ho avuto l’autorità del ruotino anteriore e ho potuto correggere finalmente la direzione e frenare.

Cosa è successo? E’ successo che ho dimenticato il venticello al traverso che, finché avevo velocità e quota non sortiva effetti, ma a pochi metri dal terreno quando l’autorità dell’ala da 13 metri quadri tende a diminuire, qualche problema ai pivelli lo provoca. Avrei dovuto fare l’ultima parte dell’avvicinamento con un accenno di tecnica del granchio, cioè dirigendo appena l’asse longitudinale del delta a contrastare il vento. Invece ho fatto un “appontaggio” con tecnica del canguro e una figura da… pollo.

Vabbè, per il touch and go, servirà un’altra puntata.