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Cosa è successo a Mangalore?

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“What?..”, cosa? E' questa la prima parola del comandante del volo Air India Express IX 812 ad essere registrata dal Cockpit Voice Recorder dopo un silenzio (durato almeno 100 minuti, oltre non si va per limiti di capacità del registratore) inframezzato solo da profondi respiri e da un leggero russare.

25 minuti più tardi il Boeing 737 concludeva il suo volo in una scarpata, poco oltre la fine della pista 24 dell'aeroporto di Mangalore, causando la morte di quasi tutti i suoi occupanti.

A 11 mesi di distanza dall'incidente, il rapporto finale della Commissione di Inchiesta del Ministero dei Trasporti indiano individua la causa principale proprio in questo prolungato sonno, che avrebbe reso il comandante, anche in virtù degli effetti di quella che è dagli specialisti conosciuta come sleeping inertia, incapace di rendersi conto che l'aereo era troppo “alto” rispetto al sentiero ideale che avrebbe dovuto condurlo a un atterraggio sicuro e, quel che più conta, incapace di adottare le necessarie contromisure.

Al momento del risveglio del suo comandante, il B-737 si trova a una distanza di 80 miglia nautiche (150 km) dalla pista, con una quota di 37.000 piedi (11.200 metri), una volta e mezzo più in alto rispetto a un ideale sentiero di avvicinamento alla pista. In effetti, nei minuti precedenti, il copilota, mentre ancora il comandante dormiva, aveva chiesto di iniziare la discesa, ma l'autorizzazione era stata negata in quanto il servizio radar di Mangalore non era (da due giorni) disponibile.

Comincia a questo punto una discesa precipitosa durante la quale viene fatto un briefing per l'atterraggio (ripasso dei punti salienti della procedura) frettoloso e incompleto: a 25 miglia dal campo, nonostante l'ampio uso degli aerofreni, la quota è sempre di circa 6.000 metri (contro i teorici 2.500) e infatti poco dopo, ormai autorizzato a intercettare il sentiero di avvicinamento finale, il comandante decide di estrarre il carrello (cosa che in genere si fa negli ultimissimi minuti del volo) per aumentare la resistenza aerodinamica, e quindi la pendenza della traiettoria. A complicare la situazione, la ricezione di un segnale radio spurio (come spesso succede quando si intercetta un sentiero ILS dall'alto) che guida l'aereo su una pendenza doppia rispetto a quella raccomandata.

A 4 km dalla pista è ormai evidente che l'aereo è eccessivamente alto, e il copilota chiama per la seconda volta la riattaccata, ma il comandante lo ignora. Il manuale della compagnia, in mancanza di una reazione coerente da parte del comandante, gli imporrebbe a questo punto di prendere i comandi della macchina e riportarla verso l'alto... perché non l'ha fatto?

A questo proposito, occorre tenere conto del fatto che il comandante, per quanto descritto dai colleghi come “amichevole” e sempre prodigo di consigli professionali nei confronti dei suoi copiloti, era altresì dotato di una personalità molto “assertiva”, con spiccata tendenza a ritenersi (e a farsi ritenere) sempre nel giusto.

Se poi si considera che l'aeroporto di Mangalore, a causa della sua peculiare situazione orografica, è indicato dalla compagnia stessa come un aeroporto dove l'atterraggio può essere effettuato solo dal comandante, si ha forse un idea delle ragioni che hanno impedito al copilota di applicare la cosiddetta emergency authority, prendendo i comandi dell'aereo.

Comunque sia, il Boeing sorvola l'inizio della pista ad alta velocità e quattro volte più alto del normale, tocca una prima volta terra verso la metà della pista, rimbalza, torna a terra, inizia la frenata inserendo i reverse, e solo a quel punto il comandante decide di riattaccare.

Troppo tardi: l'aereo si inclina sulla destra, urta un antenna, sfonda la recinzione dell'aeroporto e termina la sua corsa in fondo a una scarpata, spezzandosi in tre tronconi e incendiandosi.

Ha tutto l'amaro sapore del “senno di poi” (del quale, si sa, son piene le fosse) la considerazione dei tecnici Boeing secondo la quale una disperata frenata avrebbe ancora consentito all'aereo di fermarsi nei 900 metri di pista che rimanevano: cose del genere sono sempre facilmente dimostrabili a posteriori, inserendo i dati del volo in un simulatore... ben diversa è la situazione di chi ha ormai solo poche frazioni di secondo per decidere il da farsi.

Vale viceversa la pena, e lo faremo prossimamente, di interrogarsi sulle condizioni di affaticamento dei due piloti, cosa sulla quale il rapporto degli investigatori spende poche e superficiali parole.

(3 maggio 2011)

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