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Piloti senza aereo - I

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I - Nella notte tra il 12 e il 13 gennaio 2009 muore la “vecchia” Alitalia e nasce la “nuova” CAI. L'operazione, nota sotto il nome di “cordata dei patrioti” e fermamente voluta da Berlusconi a fini elettorali, lascia sul terreno diverse decine di aerei e qualche centinaio di piloti.

Ma quale era (e quale è oggi) l'entità dei numeri in gioco?

Secondo i dati presentati recentemente dalle organizzazioni dei piloti durante un audizione dell'Ottava Commissione del Senato, alla fine del 2008 i gruppi Alitalia e Air One (oggetto dell'operazione di “salvataggio” lanciata dai “patrioti”) impiegavano un totale di quasi 2500 piloti. In poche settimane, a partire dal 9 dicembre 2008, 864 di essi finirono in cassa integrazione. A oggi, la forza lavoro delle imprese del gruppo CAI (la nuova Alitalia) risulta essere di poco più di 1500 piloti assunti con contratto a tempo indeterminato. La perdita di posti di lavoro secca è quindi rimasta praticamente invariata in questi due anni, anche se ai 1565 piloti assunti in pianta stabile vanno aggiunti quelli a tempo determinato, i cui numeri variano a seconda delle stagioni.

Furono utilizzati, per esempio, nella fase iniziale della transizione tra il vecchio e il nuovo regime, per consentire a CAI di formare gli equipaggi di condotta sulle macchine di lungo raggio. Gli aerei intercontinentali sono infatti pilotati da equipaggi ormai arrivati al culmine della carriera, e quindi con maggiore anzianità (e costo). All'epoca, furono collocati in cassa integrazione in base all'età anagrafica e contributiva, perché per loro era possibile una transizione a più o meno breve scadenza dalla CIGS alla pensione. Siccome però piloti del genere non si rimpiazzano dall'oggi al domani, a molti di loro fu proposto un contratto a tempo determinato: in definitiva, restarono in servizio per il tempo strettamente necessario a contribuire alla formazione di coloro che li hanno poi sostituiti.

Ma l'esistenza di un bacino di disoccupazione così esteso consente anche una utilizzazione strettamente stagionale di diverse decine di unità, magari per coprire il temporaneo aumento di domanda del mercato in certi periodi dell'anno, come l'estate. Lo fa CAI, ma lo hanno fatto anche altre compagnie, come Meridiana. In questo caso, gli accordi prevedono che al termine del periodo lavorativo il pilota rientri in CIGS.

In definitiva, se si considera che nel frattempo un paio di centinaia di elementi hanno raggiunto l'età pensionabile e che molti altri hanno più o meno definitivamente trovato da volare all'estero, la cifra dei piloti ancora disoccupati si aggira oggi intorno alle 600 unità. La maggior parte di essi non ha alcuna possibilità di raggiungere l'agognato traguardo della pensione nell'arco dei sette anni di copertura garantiti dalla cassa integrazione e dalla successiva mobilità, e si trova dunque davanti a una scelta: o cambiare mestiere, o mantenere attive le licenze a proprie spese per continuare a cercare di reinserirsi nel mondo del lavoro.

Tornare a volare dopo un periodo più o meno lungo di inattività presenta però alcuni problemi. In questo senso, la professione del pilota ha caratteristiche peculiari che la rendono differente da tutte le altre. Infatti, se un insegnante, un medico o un architetto possono permettersi di restare fuori dal circuito lavorativo anche per qualche anno senza per questo perdere i loro titoli professionali, la realtà è ben diversa per un pilota.

Unico, o quasi, nel panorama delle varie professioni, il pilota va incontro alla perdita dei propri titoli qualora non eserciti le attività ad essi connesse: più o meno come se un avvocato che non affronta un certo numero di processi all'anno si vedesse annullare la laurea in giurisprudenza.

I - (continua)

(31 maggio 2011)

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