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Uso e abuso della tecnologia

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Il 25 dicembre 2009, un nigeriano residente negli States, Umar F. Abdulmutallab, viene coraggiosamente bloccato da un passeggero mentre tenta di farsi esplodere su un volo Delta in partenza da Amsterdam e diretto negli Stati Uniti.

L’ingegnoso marchingegno, con 80 grammi di polvere da sparo, era nascosto negli slip dell’aspirante terrorista. Questo fallito attentato terroristico ha innescato tutta una serie di contro reazioni da parte dei governi occidentali e delle agenzie di sicurezza preposte.

La punta di diamante di questa reazione è stata l’emotiva e frettolosa adozione dei body scanner presso gli aeroporti di mezza Europa e degli Stati Uniti. Si sono susseguiti pareri contrastanti e le solite, frammentarie, informazioni riguardo la reale efficacia di questi strumenti, ovviamente a netto vantaggio dei sostenitori dei body scanner.

Lo scorso 16 marzo il professor Cate, della Indiana University, un esperto di sicurezza e tecnologia, durante una udienza al congresso americano ha evidenziato in modo netto i limiti operativi di questi dispositivi.

“Anche se i body scanner hanno sviluppato un altissimo potenziale livello tecnologico, la loro inefficacia è incredibilmente evidente; gli AITs (Advanced Imaging Technologies o Advanced Imagine Scanner), non riescono ad identificare e scoprire esplosivi e soprattutto non riescono a distinguere il materiale pericoloso da quello ordinario”.

E’ una delle prime volte che una posizione così netta contro l’utilizzo di nuove e dispendiose tecnologie di sicurezza viene assunta da uno studioso accreditato e particolarmente attendibile. Fred H. Cate è infatti professore di legge presso l’Indiana University Maurer School of Law; è anche professore aggiunto di informatica e computer e direttore del Centro di Ricerca Applicata sulla Cyber Sicurezza, e riveste anche l’incarico di direttore del Centro di Legge, Etica e Ricerca Applicata sull’Informazione per la Salute sempre presso la Indiana University.

L’amara conclusione del professor Cate è stata la seguente: “Stiamo letteralmente spendendo milioni di dollari cercando di contrastare le minacce passate, nella certezza che i terroristi non siano né intelligenti, né innovativi; purtroppo sono entrambe le cose”.

La realtà è che i fatti di cronaca corrono veloci, così come altrettanto veloce è il laborioso e perpetuo inseguimento tra le ingegnose trovate criminali e le contro-risposte delle autorità per arginare il fenomeno. L’esposizione finanziaria è ingente, e come sostiene il professor Cate, di fatto ci attrezziamo nel migliore dei casi per contrastare escamotage già utilizzati, senza tener conto di fenomeni indiretti ma socialmente rilevanti come il forte restringimento delle libertà individuali.

Si cominciò negli anni ’70, quando progressivamente i pacchi-bomba si trasformarono in più crudeli ed efficienti strumenti: gli uomini-bomba.

Risale al 30 maggio 1972 il primo attentato suicida di un commando di terroristi giapponesi addestrati in Libano che assaltarono l’aeroporto di Tel Aviv (allora si chiamava Lod). Erano stati da poco introdotti i metal detector e quindi era diventato difficile far passare le armi attraverso i controlli di sicurezza e riuscire così di portarle a bordo. Si riusci ad escogitare un primo efficace escamotage: spedire le armi con i bagagli ed una volta recuperati gli stessi al nastro arrivi, prenderle e sparare all’impazzata contro i passeggeri.

Fu così che si consumò il primo attacco suicida della storia (tra l’altro, ironia della storia, gli attentatori erano terroristi giapponesi).

Il fenomeno terrorismo balzò così agli onori delle cronache e da allora si tenta di contenerlo, da un punto di vista legislativo, con una serie interminabile di raccomandazioni delle Nazioni Unite, che si sono susseguite sino ai nostri giorni, senza arrivare tra l’altro ad una definizione univoca e condivisa di cosa debba intendersi esattamente per terrorismo. (continua)

(23 luglio 2011)

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