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Le lezioni di AF 447 - II

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II - Il rapporto del BEA sull'incidente del volo AF 447 parla chiaro: “i piloti non hanno mai identificato con chiarezza la situazione di stallo nella quale si trovavano...” e “...i piloti non avevano ricevuto un addestramento ad affrontare una situazione di quel genere a quella quota”.

Sono affermazioni che possono suonare strane, se si considera che l'addestramento dei piloti di linea è in genere considerato come uno dei più rigorosi e completi tra quelli che possono essere impartiti a un professionista.

Eppure, già da diverso tempo, organizzazioni professionali dei piloti (principalmente l'IFALPA - International Federation of Airline Pilots' Associations) e enti di regolazione e sicurezza come l'americana FAA (Federal Aviation Administration) e l'australiana CASA (Civil Aviation Safety Authority) avevano messo in dubbio l'efficacia di certe pratiche addestrative, soprattutto in relazione all'evoluzione che negli ultimi anni hanno interessato le “macchine volanti”.

Ci è capitato più volte, in queste pagine, di sottolineare come la vita operativa di un pilota sia segnata periodicamente da sessioni di addestramento e controllo al simulatore: sono quelli che normalmente vengono chiamati recurrent training e proficency check.

Questi vengono condotti secondo programmi stilati dall'operatore (la compagnia aerea o il centro di addestramento del quale la compagnia si avvale) e approvati dalle competenti autorità. Col passare del tempo il panorama degli eventi anomali da includere in queste sedute si è andato progressivamente allargando, tenendo in considerazione problematiche derivanti da incidenti e inconvenienti vari, fino a formare una casistica che si fa di anno in anno più ampia.

Ciò sembrerebbe implicare, ovviamente, un aumento del tempo dedicato a questi addestramenti, e una revisione critica della loro impostazione. Quello che invece si verifica, in una realtà industriale che si fa sempre più concorrenziale, è piuttosto una contrazione dei tempi (e quindi dei costi), dell'addestramento, sia iniziale che ricorrente. E' ancora una volta un caso di production vs protection.

Tanto per fare un esempio pertinente all'argomento che andiamo trattando, dall'inchiesta sul volo AF 447 emerge chiaramente che, a fronte del manifestarsi di diversi incidenti legati a problemi tecnici (leggi, ghiacciamento) dei tubi di Pitot, la prima reazione di una compagnia di primaria importanza e di solide tradizioni come l'Air France si sia limitata alla distribuzione al personale navigante di una “nota informativa”. Non c'è bisogno di essere astronauti per capire la differenza che ci può essere tra un comunicato e una sessione specifica di addestramento al simulatore (o meglio ancora, la sostituzione delle sonde incriminate, ma questo è un altro discorso). E infatti anche in Air France qualcuno si è reso conto che forse sarebbe stato meglio agire con maggiore incisività... peccato che questa reazione sia giunta troppo tardi.

Quello che non è cambiato, per lo meno negli ultimi 30 anni, è il tipo di approccio: a fronte di una realtà operativa che vede i piloti confrontarsi con macchine sempre più complicate, e la cui concezione tecnica è radicalmente cambiata, non esiste una reale tendenza a educare i piloti a usare questi “splendidi” prodotti della tecnologia in situazioni degradate.

E così, sempre per fare un esempio, si continua a richiedere ai piloti di effettuare almeno tre atterraggi completamente automatici ogni sei mesi (sono richiesti per mantenere l'abilitazione ad atterrare in condizioni di visibilità quasi nulla), e si trascura l'addestramento all'uso di sistemi più obsoleti (ma ancora in uso) come gli avvicinamenti di “non precisione”. La lunga serie di incidenti legati a procedure VOR o NDB sta lì a dimostrare la pochezza di una tale impostazione addestrativa: i piloti sono perfettamente addestrati all'uso di un ILS ma non dimostrano di avere un pari livello di dimestichezza con procedure che, sebbene non più comuni come una volta, continuano tuttavia ad essere ampiamente usate, soprattutto in certe parti del mondo aeronauticamente meno avanzate.

Sembra quasi che, con una certa faciloneria, si tenda a pensare che l'informatica e la tecnologia che da essa deriva possano essere in grado, da sole, di fare una buona parte del lavoro un tempo delegato ai piloti. Ora, se questo è vero in condizioni normali (e infatti certi carichi di lavoro si sono nel tempo ridotti, permettendo tra l'altro di eliminare figure come il marconista, il navigatore e il tecnico di volo), appare oggi evidente che c'è un enorme “buco” in tutte quelle situazioni in cui certi automatismi non esistono oppure, per una qualche ragione, smettono di funzionare correttamente.

Come faceva notare tempo fa un pilota in un forum di addetti ai lavori, “si tratta di rieducare un'intera generazione di piloti alle vecchie regole del pilotaggio manuale...”, e con un fulminante paragone, continuava “...esattamente come mettere un automobilista che ha preso la patente su una macchina dotata di cambio automatico al volante di una vecchia 500 FIAT e pretendere che sappia scalare marcia facendo la doppietta, semplicemente perché una comunicazione aziendale gli ha detto che, in certe situazioni, va fatta”.

Il problema è esattamente questo: quando certi automatismi non ci sono più il bellissimo aereo iperautomatizzato (paragonabile a una macchina di ultimo modello, dotata del suo bravo ABS, del suo cambio automatico, e dei suoi controlli di trazione) torna a essere un vecchio macinino di 50 anni fa, con la sola differenza che non lo si può parcheggiare a lato della strada e chiamare il carro attrezzi.

Non è un caso che, in condizioni estremamente degradate e su una macchina altamente automatizzata come un Airbus A-320, il “vecchio” Chesley Sullenberger, facendo evidentemente appello a un'esperienza che certi metodi di addestramento non sono più in grado di fornire, sia riuscito comunque a salvare la vita sua e dei passeggeri che gli erano stati affidati, atterrando “miracolosamente” nel fiume Hudson.

L'unica soluzione dunque, per quanto costosa possa essere, è quella di prevedere un addestramento quantitativamente e qualitativamente rivisto. Un addestramento capace di fornire a tutti i piloti di linea le abilità necessarie a comprendere appieno le logiche di funzionamento dei nuovi aerei-che-fanno-tutto-da-soli, e mantenerli al tempo stesso capaci di fare a meno di tutta questa automazione laddove se ne riveli il bisogno.

II (continua)

(28 agosto 2011)

Leggi le puntate precedenti: 1

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