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Il sonnellino del gatto

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Ci sono dei voli che, pur non essendo tanto lunghi da giustificare la presenza a bordo di un terzo pilota, sono tuttavia molto gravosi: esempio tipico, quelli che (con durate variabili tra le otto e le dieci ore) uniscono l'Europa occidentale alla East Coast nordamericana, e viceversa.

Per chi parte dal vecchio continente non sono, almeno all'andata, troppo faticosi. Ma ventiquattro ore dopo si torna indietro e i due piloti, non ancora assuefatti al fuso orario americano, si ritrovano a partire per l'Europa proprio quando il loro sbalestrato orologio interno dice che è ora di andare a dormire. Inevitabile che, a metà della traversata, la stanchezza e il sonno si facciano sentire.

E le cose non vanno meglio per i colleghi nord-americani. Per loro il volo di andata, quello che li porta verso la vecchia Europa, parte generalmente nel tardo pomeriggio, e non sempre riposare durante il giorno, quando si è a casa, è cosa facile. In compenso, benché stanchi, risentiranno meno dell'effetto del jet-lag durante il volo di ritorno.

Comunque sia, nonostante le ore di volo, tra andata e ritorno, non siano poi così tante, questo genere di avvicendamenti (così chiamiamo noi i turni di volo), mettono spesso a dura prova gli equipaggi e le capacità di sopportazione dello sforzo, anche perchè ci si trova a volare in spazi aerei tra i più congestionati al mondo.

A prima vista la soluzione sembra facile: aumentare i tempi di riposo pre-volo, allungare il periodo di sosta tra l'andata e il ritorno, e mettere a bordo un terzo pilota. Ma la parola d'ordine dei tempi moderni è “ridurre i costi”, e siccome le tre soluzioni appena prospettate hanno tutte il difetto, appunto, di far lievitare i costi, ecco che è stata rispolverata una ricerca condotta anni fa dalla NASA.

I ricercatori si erano accorti che nei momenti di attività più intensa, quando non era possibile garantire agli astronauti un buon sonno, si potevano ugualmente ottenere da loro prestazioni soddisfacenti ricorrendo alla tecnica del cat napping, che alla lettera significa sonnellino del gatto.

Avete mai visto un micio, che un attimo prima sonnecchiava al sole, piombare fulmineo su una lucertola incautamente avventuratasi nei dintorni, o schizzar via di botto sfuggendo all'improvviso attacco dell'antipatico cane dei vicini? Bene, pare che anche l'uomo sia capace di performance, se non uguali, almeno simili: basta che il periodo di sonno effettivo duri meno di mezz'ora, evitando così di entrare nella fase di “sonno profondo”.

Questa procedura consente di non risentire degli effetti della cosiddetta sleeping inertia, e quindi è teoricamente in grado di garantire l'efficienza del pilota costretto ad interrompere il proprio pisolino per fronteggiare un imprevisto.

Così, anche in previsione di momenti più impegnativi come l'avvicinamento e l'atterraggio, se durante la crociera uno dei due si sente stanco, organizza il suo cat napping: reclina lo schienale del sedile, abbassa il volume della radio, smorza le luci, e... anche l'altro, che dovrebbe restare vigile e svegliare il suo compagno allo scoccare della fatidica mezz'ora, si trova nelle condizioni ideali per addormentarsi!

Rimedio: mantenere regolari contatti con gli assistenti di volo tramite interfonico (che però fa rumore e potrebbe svegliare il gatto dormiente), oppure -a mali estremi, estremi rimedi- farne venire uno in cockpit per tenere compagnia a chi deve stare sveglio. Peccato che il nuovo arrivato finisca spesso per soccombere all'ambiente ovattato e al forzato silenzio, piombando anche lui addormentato.

La domanda sorge spontanea... ma siamo proprio sicuri che non fosse meglio mettere un pilota in più?

(3 maggio 2012)

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