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La fatica operazionale

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Uno dei principali fattori che agiscono sulla nostra capacità di reagire agli stimoli, e che provoca (ai comandi di un aereo come al volante di un camion) perdita di conoscenza attraverso il meccanismo di difesa del sonno, è la stanchezza (in inglese: fatigue).

Per analizzare il fenomeno, occorre innanzitutto chiarire a cosa ci riferiamo quando parliamo di stanchezza. Cominciamo quindi con l’evidenziare il fatto che il termine fatica, o stanchezza, è ambiguo, poiché può indicare quattro situazioni.

La prima è quella sperimentata da chi non ha avuto modo di riposare adeguatamente, come quando l'adorato neonato ha pianto tutta la notte. La seconda è lo stato di torpore che può derivare dal jet lag, di cui ci è già capitato di parlare e sul quale torneremo. La terza è la stanchezza fisica in seguito ad uno sforzo prolungato che comporta affaticamento muscolare, come dopo una partita di pallone fatta a quarant’anni, pensando di averne ancora venti. La quarta infine è la stanchezza mentale dovuta ad uno sforzo prolungato sui libri per lo studio assiduo... non preoccupatevi, dopo Leopardi, che dichiarava di aver ecceduto in uno studio “matto e disperatissimo”, nella scuola italiana nessuno è stato mai affetto da questa stanchezza...

La stanchezza può dipendere inoltre da diversi fattori, tra i quali la situazione soggettiva (riposo pregresso, qualità del sonno, alimentazione irregolare, resistenza individuale dovuta anche allo stato psico-fisico generale e allenamento), il tipo di impiego (ambiente di lavoro, ore di servizio effettuate, numero dei voli fatti in una giornata, fusi attraversati, incidenza del servizio sui ritmi circadiani e il volo notturno), e l'ambiente di lavoro (rumore, umidità dell’aria, tipo di impiego su macchine ad alta o bassa automazione, rapporti interpersonali e clima di lavoro in genere).

Similmente alle altre forme di perdita di conoscenza, anche la stanchezza è subdola, nel senso che non è uno stato ON-OFF, ma un graduale ridimensionamento delle capacità cognitive che rallentano i riflessi, inquinano il ragionamento, riducono l’iniziativa.

Esistono dei limiti di servizio massimi che le autorità aeronautiche di tutti i paesi hanno adottato per impedire che i piloti arrivino a dei picchi di stanchezza tali da mettere a repentaglio la sicurezza, ma c’è un acceso dibattito sulla ragionevolezza di tali limiti. Da una parte, i piloti ritengono che i tempi massimi di servizio siano eccessivamente lunghi e che devono essere ridotti; dall’altra, le compagnie aeree spingono all’utilizzo intensivo di uomini e mezzi che vedono una potenziale riduzione dei margini di profitto.

Alcune analisi effettuate dall’ente di sicurezza americano NTSB rivelano che circa l’80% di tutti gli incidenti dell’aviazione commerciale è provocato dal “fattore umano”, e di questo 80%, ben il 21% è attribuibile al fenomeno “fatica operazionale”: in poche parole, circa il 16% dei suddetti incidenti è riconducibile, all’interno della cabina di pilotaggio, ad un livello d’affaticamento inaccettabile.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(3 agosto 2012)

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