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Una passeggiata per Bologna

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Stamattina ho approfittato della mezza mattinata libera tra il volo di ieri e quello di oggi per fare una passeggiata per Bologna, città magnifica nella quale venticinque anni fa ho vissuto per circa sei mesi, lasciandoci un pezzo di cuore.


E non solo perché la associo alla spensieratezza giovanile e allo spirito goliardico di una fase di vita che non tornerà. Non c’è la nostalgia a rinforzare un ricordo positivo, no: Bologna era oggettivamente una città-modello, alla quale si ispiravano molte altre realtà italiane ed europee.

La sede universitaria è la più antica del mondo, datata al tredicesimo secolo. Da sempre frotte di studenti affollano Bologna “la grassa”, assimilandone per osmosi lo spirito. La goliardia, che ormai solo Renzo Arbore ricorda nelle università italiane esiste forse solo a Bologna e a Padova; antiche vestigia di un passato glorioso che qualche professore di buona volontà si sforza di mantenere in vita.

Il mio esordio a Bologna fu qualcosa che ricordo come fosse oggi. Chiesi ad un signore anziano: “Scusi, dov’è Piazza Maggiore?”. Lui cominciò a spiegare la strada con calma, ma poi, vedendo che era difficile, tagliò corto e disse: “Ma va là, l’accompagno io a Piazza Maggiore”. Lui mi ha dedicato il suo tempo. Ad uno sconosciuto. Questo è lo spirito che ho sempre associato a questa città; massima accoglienza al forestiero, serenità nei rapporti umani, bonomia, giovialità, spensieratezza, goliardia.

Quindi, Bologna mi ha sempre evocato un pensiero positivo. Non mi riusciva proprio di immaginarmi un bolognese incazzato. Un mio amico bolognese mi diceva che se si sentiva qualcuno suonare il clacson per strada, gli si lasciava la via libera perché sicuramente aveva qualcuno malato a bordo da portare all’ospedale d’urgenza. Era impensabile che uno suonasse il clacson come succedeva nelle altre città, dove il clacson o i fari abbaglianti sono strumenti di tortura nei confronti del prossimo, specialmente se si trova due metri avanti a noi.

La collina di S. Luca nei dintorni era scelta per le gite fuori porta, per vedere “la bassa” dall’alto, per cenare in ristorantini dalla cucina ricercata, per prendere un po’ di fresco, quando la calura estiva non dava tregua. Una cucina tra le migliori del mondo contribuiva molto a rasserenare l’animo, e si sa che quando si mangia bene l’umore ne giova.

Ebbene, stamattina ho provato un senso di tristezza nel vedere come si è ridotta questa ex perla d’Italia. E non perché io abbia una sensazione superficiale, da forestiero, di come si sia degradata la vita nel capoluogo felsineo. Ero fermo ad un semaforo, accanto ad una signora di una sessantina d’anni, quando il bus è passato a pochi centimetri dai nostri piedi. Sono rimasto colpito dall’arroganza dell’autista e la signora mi ha fatto notare che se avesse avuto il suo cane da passeggio con lei, probabilmente sarebbe stato schiacciato dal bus, aggiungendo poi: “Come ci siamo ridotti”.

D’accordo, la maleducazione, lo sguardo incattivito, l’arroganza, fanno parte ormai di un costume nazionale, per cui è difficile dire se è un segno dei tempi, un distintivo dell’epoca, oppure se è sintomo di un malessere cittadino, ma a me pare che Bologna sia peggiorata con un rateo superiore al resto d’Italia: è l’unica città in cui mi sento a disagio e insicuro.

Ho viaggiato in tutto il mondo, passeggiando nelle favelas brasiliane, nelle hometown sudafricane, negli slums newyorchesi, nei villaggi asiatici, senza percepire minimamente alcun senso del pericolo. A Bologna, invece, trovo che l’aggressione potrebbe essere sempre dietro l’angolo. L’albergo si trova in una zona centrale, ma ciò non toglie che si sia formata una specie di kasbah dove non si vede un poliziotto nemmeno a pagarlo.

Ecco, la cosa che più colpisce è che mentre nel resto del mondo il degrado si trova in periferia, a Bologna lo hanno sedimentato al centro città, dalla stazione a via Indipendenza a Piazza Maggiore. L’immigrazione qui non è stata gestita. Semplicemente c’è stata un’invasione senza disciplina degli spazi comuni, creando un corto-circuito tra una popolazione da sempre incline all’accoglienza e una varietà di immigrati che hanno tentato di integrarsi sotto varie forme.

Come sempre succede, se la fiducia riposta da chi ti accoglie non viene adeguatamente ricompensata da comportamenti virtuosi, si eccede dall’altra parte. Se vent’anni fa mi avessero detto che Bologna, roccaforte storica del PCI, avrebbe avuto un sindaco di destra, avrei chiamato l’ambulanza, parlando piano al mio interlocutore fintanto che non fossero arrivati gli infermieri con un siringa di Valium.

Ebbene, Bologna ha avuto un sindaco di destra, Guazzaloca, che tra l’altro è un bolognese doc, stimato dai bolognesi... e poi dice che non ci sono più le mezze stagioni.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(1° settembre 2012)

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