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A cena con l'equipaggio

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Gli equipaggi sono soliti andare a cena insieme, tranne i casi in cui c’è un’evidente incompatibilità caratteriale. A questo proposito, è significativo un detto che gira tra gli assistenti di volo: “Il bravo comandante è quello che mangia da solo”.


E in realtà, capita a volte che si crei una spaccatura tra equipaggio di cabina e piloti, spaccatura che si manifesta nella separazione al momento di mangiare: pilota e comandante da una parte, il resto dell’equipaggio dall’altra. Tuttavia, tranne questi rari casi, è interessante vedere un equipaggio che va al ristorante, perché ci si potrebbe scrivere un libro.

Innanzitutto, in quale ristorante andare: io non mangio la pizza, io non voglio spendere più di venti euro perché ho il mutuo, quel ristoratore mi sta antipatico, quel posto è troppo lontano, da Tizio mi hanno dato la fregatura l’ultima volta, e così via. Insomma, si finisce col capire come l’asino di Buridano morì di fame, pur avendo due covoni di fieno accanto a sé.

Io ho imparato negli anni a non proporre mai il ristorante dove andare perché, bene che va, si è speso troppo, si è mangiato male ed è colpa mia se l’intolleranza alimentare si è improvvisamente manifestata dopo anni che non capitava... come se cucinassi io. Quindi, ho adottato un profilo idrodinamico, di minima resistenza, in cui faccio scegliere il più giovane dell’equipaggio dove andare a mangiare. A volte, suggerisco tra le righe dei ristoranti dove sono sicuro di mangiare bene e spendere meno della diaria. Devo dire che così funziona.

Una volta deciso dove andare, la cosa divertente è guardare la faccia del cameriere che prende l’ordinazione. Lui, appena arrivato al tavolo, mi guarda e non capisce perché io rida sotto i baffi, ma dopo dieci minuti se ne rende conto da solo.

Si comincia con il capotavola che ordina spaghetti alle vongole, il secondo fettuccine allo scoglio, il terzo  gnocchi alla sorrentina, il quarto penne al salmone. Improvvisamente, il capotavola cambia idea, scegliendo gli gnocchi, si aggiunge il secondo che nelle fettuccine allo scoglio non ci vuole i gamberi, mentre il terzo chiede se gli gnocchi siano fatti in casa. Il quarto rimane della sua idea, passando alla hostess che chiede l’insalata, per finire all’altra hostess che gradirebbe l’antipasto.

Sembra finito il primo round, ma non è così semplice: il pilota vuole sapere se è possibile avere l’insalata prima della pasta, mentre il capo-cabina non vuole più gli gnocchi, cambiando con gli spaghetti, ma che siano cotti al dente.

Mentre va via, il cameriere si sente richiamare, annotando che la hostess non vuole i pomodori nell’insalata, scartando da una parte i cetrioli e il condimento lo vuole in un piatto separato. Interdetto, con la penna a mezz’aria, il poveretto è rimasto si e no agli spaghetti allo scoglio che gli ha ordinato il pilota... e io lo capisco.

E capisco anche le contromisure che alcuni si prendono nei confronti degli equipaggi: in primo luogo, riducono la possibilità di scegliere nel menu, e ti dicono a voce tre cose, bofonchiando tutto ciò che c’è in più, ma che innescherebbe un bailamme di cui non hanno bisogno.

In secondo luogo, fanno come in America: standardizzano i piatti. Se c’è scritto Caesar Salad, che oltre alla lattuga ha dentro di tutto e di più, dal pollo al parmigiano, dalle noci alla salsetta, te la prendi così come c’è scritto. Poi casomai togli tu quello che non ti piace. E quelli non li smuovi; sono camerieri computerizzati.
E infine, fanno come i cinesi: tu ordini gli involtini primavera e loro di portano i wanton. All’obiezione che tu hai ordinato gli involtini, non ti rispondono... sorridono con insistenza, e ti appioppano il piatto. E tu mangi i wanton, perché il cameriere ha deciso così.

Ora, è chiaro che quando torno a casa non ho nessuna intenzione di andare al ristorante, a meno che non conosca benissimo dove sto andando e ritenga un piacere mangiare lì.

Primo perché mia moglie cucina benissimo.
Secondo, perché a differenza delle cene al lavoro, mangio ciò che i figli lasciano nel piatto, costringendomi ad ingrassare.
Terzo, perché mentre quando lavoro non c’è nessuna hostess che mi dice di prendere il dolce “che poi assaggio da te”, al ristorante con mia moglie sono obbligato ad ordinare le cose più strane, che lei si riserva di assaggiare ed eventualmente di fare finire a me, se a lei non piacciono.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(8 settembre 2012)

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