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Il cielo

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A differenza del mare, di cui conosciamo in concreto una parte infinitesima, è molto semplice rendersi conto di chi abita il cielo: nuvole, uccelli, mezzi più pesanti dell’aria guidati dall’uomo, mezzi meccanici telecomandati da terra, qualcosa appeso ad un filo.


Ovviamente, stiamo parlando del piccolo cielo sulla nostra testa, quello celeste, che si estende per una fascia variabile dai dieci ai quindici chilometri. Circa quello che c’è molto oltre il limite della troposfera, quel nero che tinteggia lo spazio infinito, ne sappiamo una quantità esprimibile con il prefisso “nano”.

Yuri Gagarin, di ritorno dal primo volo cosmonautico, riportò che nel suo viaggio nel cielo infinito non aveva incontrato Dio, probabilmente una frase studiata a tavolino dalla nomenclatura sovietica per impressionare l’Occidente. Armstrong pronunciò la famosa frase, in occasione dell’allunaggio: “Un piccolo passo per un uomo, ma un enorme salto per l’Umanità”.

Senza spingersi oltre un certo limite, accessibile alle astronavi, noi ci muoviamo in un ambiente caratterizzato dal mutamento: in cielo, niente è fermo. Il nome troposfera, cioè l’ambiente nel quale si verificano i fenomeni meteorologici, indica la fascia del cambiamento.

È interessante notare che l’etimologia di troposfera ha una radice greca comune con la parola uomo, anthropos, poiché si riferisce al mutamento. Sia l’uomo che l’atmosfera hanno la caratteristica di non essere mai uguali a se stessi. Infatti sono pochi i posti dove le condizioni del cielo sono quasi sempre uguali, come nel deserto oppure a Los Angeles, dove il bollettino meteorologico sembra fotocopiato da quello del giorno precedente.

Meteorologia, dal punto di vista etimologico, deriva dal greco tà metéora, per indicare ciò che sta in alto. Ovviamente Aristotele non poteva immaginare che ciò che vedeva da terra potesse essere visto anche dall’alto.

I Pooh cantavano “Il cielo è blu sopra le nuvole” per descrivere la sensazione del passeggero che guarda fuori dall’oblò ed immagina la situazione di chi è a terra. Il terrestre vede il cielo nero e minaccioso, mentre chi vola si trova al di là del problema, tutto ciò che c’è sotto non lo riguarda. Quindi, si tratta di punti di vista.

Per gli antichi greci però, il cielo non era infinito. Esisteva il cielo delle stelle fisse al di sotto del quale si innestavano una serie di cieli legati da epicicli, descritti bene da Aristotele, da Tolomeo (l’astronomo cui si deve il sistema pre-copernicano) e da Dante Alighieri, che ci impernia la sua visione del Paradiso.

Ancora oggi, rimane un retaggio di questa concezione quando diciamo “Sono al settimo cielo”.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(27 novembre 2012)

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