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Non ho chiuso occhio...

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“Stanotte non sono riuscito a chiudere occhio...”. Se dovessi raccontarvi di tutte le volte che, in tanti anni di lungo raggio, ho pronunciato questa frase, o l'ho sentita pronunciare da altri, finirei probabilmente con l'annoiare tutti i lettori di Manuale di Volo.


Eppure sono costretto a parlarne, perché frasi del genere sono tutt'altro che inusuali nelle conversazioni tra piloti di lungo raggio, sottoposti, oltre che alla fatica direttamente legata ai voli, anche ai capricci dei fusi orari.

Ovviamente, ogni volta che l'ho pronunciata, non ho mai avuto la pretesa di essere preso sul serio, e men che meno ho preso sul serio i colleghi che la pronunciavano. In questi casi, di solito, si prende atto del fatto che uno dei piloti è stanco, e ci si organizza per gestire i turni di riposo a bordo in modo razionale, facendo al limite ricorso al famigerato “sonnellino del gatto” di cui ci è già capitato di parlare su queste pagine.

Se torno oggi a parlarne è perché il settimanale francese Le Point, ampiamente ripreso dai confratelli francesi e internazionali, punta un indice accusatorio su una frase molto simile che pare sia stata pronunciata dal comandante del volo AirFrance 447, del quale ci siamo ripetutamente occupati, poco prima di abbandonare il cockpit per godere del suo turno di riposo.

Le conclusioni a cui giunge il giornalista francese sono lapidarie: invece di riposarsi, i membri dell'equipaggio di AF 447, durante la sosta a Rio, avevano pensato a divertirsi, complici anche mogli e “amanti” (dove per “amanti” si intende la compagna del comandante, che stava divorziando dalla moglie) che li avevano seguiti, come a volte succede, nel viaggio.

E, rincara, il giornalista, gli investigatori del BEA, hanno nascosto questo aspetto, considerando che si trattava di qualcosa attinente la vita privata, anche se le registrazioni segnalano “lunghe pause di silenzio”. In realtà il rapporto finale d'inchiesta fornisce un'interpretazione abbastanza precisa di quelle ultime ore di volo proprio sulla base delle registrazioni del CVR, e afferma che “l'equipaggio non mostra segni obbiettivi di fatica” e che “il livello di attività è coerente con quello che ci si può aspettare da un equipaggio nella fase di crociera... senza evidenti segni di sonnolenza”.

E del resto, se davvero il comandante avesse manifestato una stanchezza come quella ipotizzata dal settimanale francese, con tutta probabilità si sarebbe preso il primo dei tre turni di riposo, salvo poi integrarlo con altri brevi “sonnellini” durante il prosieguo del volo.

Privo di logica appare anche l'appunto relativo al tempo impiegato dal comandante per tornare in cockpit quando si è accorto che qualcosa non andava nel verso giusto. “Ben un minuto e mezzo...” si stupisce il giornalista, senza pensare che se alle due di notte dovesse suonare il campanello a casa sua, quel minuto e mezzo non gli sarebbe senz'altro sufficiente ad andare ad aprire la porta.

Insomma, fermo restando che sul tema “fatica degli equipaggi” c'è senz'altro molto da lavorare (e il lavoro da fare va in direzione opposta a quello che la UE sta facendo con le nuove norme sui tempi di impiego), l'impressione che ricavo da questa ultima sortita giornalistica è quella di una “sparata” gratuita e vagamente diffamatoria alle spalle di chi, ormai, non si può più difendere.

Di certo c'è solo che, da ora in poi, ci penserò su due volte prima di affermare che “non ho chiuso occhio”. Non sia mai che poi qualcuno debba prendere sul serio quello che è un semplice artifizio retorico per dire che si è un po' stanchi.

(28 marzo 2013)

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