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A colloquio dallo straniero

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L’idea di fare un colloquio di lavoro è semplicemente assurda quando si lavora per una grande compagnia aerea, quale era Alitalia nei suoi tempi d’oro. All’epoca era impensabile dover avere la necessità di cercare un altro lavoro, oggi invece credo di aver messo a segno un record.


Ho buone ragioni di credere di essere diventato il detentore del record dei curricula spediti in giro per il mondo e delle partenze per destinazioni lontane nella speranza di trovare condizioni di lavoro migliori.

Eppure, dopo aver passato tanti anni in cockpit, credevo di avere una esperienza tale per cui superare un colloquio di lavoro fosse un gioco da ragazzi. Pensavo bastasse dimostrare di saper fare il proprio lavoro come facevo tutti i giorni, non capivo come fosse possibile non essere considerato un buon pilota da un’altra compagnia quando per Alitalia andavo bene.

Invece poi ho imparato che fare un colloquio per un posto di lavoro da pilota è come vincere un terno al lotto, lo so suona strano, ma ci vuole tanta fortuna.

In genere il colloquio è diviso in tre parti: una prova al simulatore, un quiz tecnico a risposta multipla e il colloquio vero e proprio.

La prima sorpresa inizia già al simulatore. Le manovre richieste sono molto semplici, giusto qualche virata e un decollo e atterraggio con piantata motore, ma non necessariamente si svolge in un simulatore dello stesso tipo di aereo al quale si è abilitati.

Anni fa, quando volavo sull’MD-80, ho svolto una check sul simulatore del B-777. Anche se molto più grande dell’MD-80 almeno si pilota allo stesso modo, utilizzando un volantino, ma ad un mio amico è capitato di farlo sull’A-330 che non ha il volantino, ma una specie di joystick. Ovviamente non ha superato la prova e quella compagnia ha perso l’occasione di assumere un pilota bravo ed esperto.

Per il test ed il colloquio, la conoscenza che si deve dimostrare è infinita. Spazia dalla fisica all’elettronica, per poi arrivare ad argomenti più tecnici quali la navigazione, la meteorologia, i sistemi di bordo e anche nozioni di normativa internazionale.

Insomma, è impossibile sapere tutto, soprattutto quando nella vita lavorativa di tutti i giorni si affrontano problematiche più pratiche, ed è difficile mantenere la freschezza della preparazione su materie teoriche che può avere uno studente alla fine del ciclo di studi. Infatti ogni volta che preparo un colloquio devo passare le giornate sui libri a studiare come quando ero a scuola, e mi ritrovo con i quaderni dei miei appunti presi vent’anni fa.

Lo sforzo è enorme, e alla fine si riduce a rispondere a due o tre domande rivolte da una commissione che non conosce come il candidato lavori per davvero e che raramente, per cercare di capire se sia capace di svolgere questo lavoro, chiede qualcosa legata direttamente all’attività operativa.

Alcune volte addirittura il candidato deve superare una serie di test di logica e matematica formulati da un computer per i quali è necessaria una preparazione specifica che non ha nulla a che vedere con il pilotaggio. Ora, anche se è vero che per pilotare un aereo bisogna essere in grado di elaborare una moltitudine di dati in poco tempo, e quindi possedere una mente elastica, io non credo che sia questo il modo migliore per valutare le potenzialità di un pilota.

E anche se ancora non hanno inventato un computer che possa calcolare matematicamente l’esperienza maturata in tanti anni di lavoro, io non riesco a capire perché semplicemente non si possa impegnare il pilota in uno scenario di lavoro abituale, con un normalissimo volo al simulatore durante il quale dovrà risolvere qualche emergenza e dimostrare sul campo le proprie competenze.

Purtroppo la realtà è un’altra, e l’unica strategia valida per superare un colloquio è quella di collezionare il maggior numero possibile di informazioni circa le domande che solitamente vengono poste da quella particolare compagnia aerea e, se la prova al simulatore è su un aereo sconosciuto, spendere qualche migliaio di euro per un paio di ore di addestramento.

Ultimo consiglio: confidare sempre in una buona dose di fortuna che si sa, aiuta gli audaci.

(14 agosto 2013)

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