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Alaska, ultima frontiera

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È notte e immaginate di trovarvi in finale verso la pista di atterraggio. La neve intorno all'aeroporto, e su fino alle montagne, è illuminata dalla luna, mentre verso nord danza una aurora boreale con il suo verde chiarore che cambia forma continuamente.


Questa è Anchorage, Alaska, un luogo lontano e misterioso, transito obbligato per gli aerei cargo in rotta dall'Asia verso il Nord America.

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Salire la scaletta di un B747 non è cosa facile. Da laggiù la mole dell'aereo con la coda che si perde all'infinito mi intimidisce un po' ma la vista dei potenti motori sotto le ali dà la sicurezza di essere in buone mani.

Entrati in cabina, l'enorme spazio vuoto destinato al cargo fa pensare più a una nave che a un aereo, una sensazione che tanti anni di medio raggio con aerei più piccoli non avevo mai provato. Ma la salita non è finita. Un'altra rampa di scale mi attende, quella che porta all'upper deck e infine alla cabina di pilotaggio.

Niente di speciale: i soliti strumenti e la cloche tradizionale, solo le quattro manette mi danno un po' di pensiero all'idea se riuscirò con una mano sola a muoverle tutte insieme.

È solo quando, una volta seduto al mio posto, guardo giù dal finestrino che capisco di non essere in un aereo normale e mi sento come se fossi già in volo. Non c'è aereo intorno che non riesca a guardare dall'alto verso il basso, e rullare con questo bestione sulle piste degli aeroporti in giro per il mondo è un raro piacere.

Mi sento privilegiato. Da quando tanti anni fa Alitalia mise in pensione il Jumbo ho creduto che le mie possibilità di pilotarne uno fossero finite. Poi anche per me è arrivata la fine in Alitalia e con la ricerca del lavoro perfetto (che detto tra noi non ho ancora trovato) è invece arrivata una offerta impensabile: volare sul Jumbo!

Ho tante destinazioni nel sud-est asiatico, ma la maggior parte dei miei voli sono verso gli Stati Uniti. Dagli aeroporti in Asia, con il cargo, una tappa fissa è Anchorage dove ci si rifornisce di carburante e gli equipaggi si danno il cambio per continuare il volo negli aeroporti americani.

Non è solo un viaggio nello spazio, ma anche nel tempo: attraversando l'Oceano Pacifico da ovest verso est, passando per la linea di cambiamento di data, si riesce a decollare il pomeriggio e atterrare la mattina dello stesso giorno perdendo completamente la cognizione del tempo.

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La natura in Alaska è semplicemente meravigliosa. Si passa dai meno venti gradi in inverno dove tutto è fermo e coperto da una spessa coltre di neve ad una estate corta ma vivacissima di colori e animali bellissimi, e non è difficile incontrare un alce mentre si pedala allegramente nel bosco.

Il volo di rientro durante la stagione invernale regala la vista di paesaggi mozzafiato. I jet-stream, le potenti correnti di aria che sfrecciano verso est sopra i cieli giapponesi a più di duecento chilometri orari, rallentano la velocità degli aerei in maniera drastica. Si cerca quindi di evitarli volando più a nord, e dall'Alaska mettiamo prua verso lo stretto di Bering in Russia, scendiamo giù verso la penisola della Kamchatka, che conoscevo solo per averla conquistata innumerevoli volte giocando a Risiko, e poi continuiamo verso la Corea e infine le varie destinazioni in Asia.

Dopo il decollo è tutto ghiaccio all'orizzonte, una distesa infinita e omogenea interrotta solo dagli alti picchi delle montagne, comunque bianchi di neve. La vista dello stretto con i tanti iceberg è emozionante: a destra l'America e a sinistra la Russia, cosi vicine che quasi si toccano. Eppure, nonostante la desolazione, ogni tanto si vede qualche agglomerato di case che pare incredibile ci siano persone laggiù. La Kamtchaka è la terra dei vulcani, tanti e minacciosi ma da questa altezza mi sento al sicuro.

Sono prossimo all'atterraggio e dopo tante ore di volo, i fusi orari e la stanchezza non capisco più se quel sole basso è l'inizio di un nuovo giorno o il tramonto che si avvicina.

Spegniamo i motori e cala il silenzio. Sono triste, sto uscendo da questo cockpit per l'ultima volta. Il lungo raggio porta lontano dalla famiglia per troppi giorni e ho quindi deciso di tornare a fare voli più corti e di conseguenza a un aereo meno affascinante.

Il Jumbo è stata un'avventura inaspettata e l'Alaska una incredibile destinazione che rimarrà nel mio cuore.

(18 gennaio 2016)

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