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Il muro - II

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II - (segue) La mia tappa successiva fu al Ck Point Charlie; così era chiamato il punto di transito fra la DDR e la zona USA di Berlino, per andarci presi la metropolitana la quale, inaspettatamente, in coincidenza di certe stazioni, regolarmente annunciate dall’altoparlante, rallentava senza fermarsi…


...ero sotto Belino Est e quelle erano le “stazioni fantasma”.

Emerso in superficie ed avvicinandomi al Muro, grandi cartelli avvisavano nelle principali lingue che si stava lasciando l’occidente e si stava per entrare nella DDR, in un certo senso la situazione evocava, almeno secondo il mio stato d’animo, scenari danteschi: ”Lasciate ogni speranza...”

Il Muro era improvvisamente sbucato arcigno dallo scorcio delle strade. Un senso di solitudine e di freddo mi aveva preso: come non pensare alla morte di coloro che con ogni stratagemma possibile avevano provato a superarlo lasciando in molti casi le loro vite in tentativi falliti? Emblematica della efferatezza del regime comunista fu la fine del muratore diciottenne Peter Fechter, ferito dai vopos durante un tentativo di fuga e lasciato agonizzante nella terra di nessuno sino alla morte per dissanguamento. A ben riflettere l’assurdità anti-storica del Muro consisteva nel fatto che esso non era stato costruito per impedire di entrare ma ad impedire l’uscita.

Allora, per un cittadino occidentale entrare nell’Europa orientale era di che aver paura, tale era la fama, frutto non solo di propaganda, che circondava quei regimi polizieschi, temibili sotto tutti i punti di vista; sopratutto ai miei occhi, le cui letture giovanili erano spesso tratte dal Reader’s Digest a cui mio padre era abbonato e che poi, con una visione diciamo così prospettica, ho capito essere un formidabile strumento propagandistico smaccatamente schierato con gli americani.

Lasciati i rassicuranti MP e la bandiera a stelle e strisce, mi inoltrai verso il punto di controllo e accesso di Berlino Est, varcando il Muro costruito dal regime di Ulbricht per impedire ai suoi concittadini di scappare verso la libertà o più semplicemente per riunire famiglie crudelmente separate dalla guerra o migliori condizioni di vita.

Agli occidentali era consentito l’ingresso nella zona Est di Berlino, per un massimo di 12 ore dalle otto alle venti e solo attraverso il Ck Point Charlie. Obbligatorio, inoltre, cambiare alla pari almeno 25 DM. con i deprezzatissimi DDM con cui non si comprava nulla e che nessuno accettava. Per ottenere il rilascio del Transitvisum dovetti entrare in uno stretto corridoio illuminato a giorno con le pareti di specchi, probabilmente durante il transito mi sarò beccato qualche sievert da raggi-X ma alla fine del tunnel mi rilasciarono quel tagliando che qui vedete.

muro2

Alle mie spalle si profilava ancora grigio e malevolo il Muro. Di fronte a me lo spettacolo di una città che a 24 anni dalla fine della guerra era ancora fatta di case bombardate, strade appena agibili, completa assenza di negozi e vetrine. Squallore, buio e silenzio ogni dove, interrotto raramente dal tipico rumore del fumoso e puzzolente motore due tempi delle Trabant, le automobiline Made in DDR che noi occidentali non avremmo voluto neanche per regalo.

Per spendere i marchi tedesco-orientali che avevo in tasca, infreddolito, entrai in un locale che pareva un bar. L’ingresso era oscurato da una pesante coperta, il luogo era caldo ma non accogliente. Avevo l’impressione che per i presenti la guerra non fosse finita e che si sentissero sotto assedio, pronti a combattere nuovamente. Mi stupì come intorno a me si fosse creato il vuoto, nonostante gli sguardi degli avventori che filtravano di sottecchi e venivano distolti appena io guardavo loro, sembrassero interrogarmi.

“Chi sei? Da dove Vieni? Perché sei vestito strano? Ma che sei matto a parlare in inglese, qua?” (continua)

(16 novembre 2016)

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