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I piloti della morte

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Che il mondo degli aviatori non sia immune dai mali del genere umano è inevitabile, ma pensare che anche in un mondo così “alato” ci siano i mostri è cosa dura, e crea un certo sconforto e ribrezzo soprattutto in chi fa parte di un mondo che è in definitiva più un sogno che una reale entità sociale.


Certo non vorremmo mai parlare di piloti assassini criminali, purtroppo anche questa tipologia umana fa parte della categoria, e il recente giudizio di primo grado circa il cosiddetto piano Condor, tenutosi in Italia, ha riportato a galla fatti sconvolgenti verificatisi durante le dittature militari in America Latina. Ci riferiamo in particolare ai cosiddetti vuelos de la muerte perpetrati in Argentina nella seconda metà degli anni ’70.

Le prove concrete che qualcosa di atroce stesse avvenendo in verità emersero quasi subito: nell’aprile del 1976 fu rinvenuto sulle coste uruguaiane il cadavere di una donna che mostrava segni di tortura, stupro e devastanti fratture da impatto sull’acqua. Soltanto venti anni dopo però queste evidenze iniziarono a far parte del materiale documentale dei processi.

Il regime mostrò immediatamente di che pasta era fatto, già dal giorno dell'orrore dello stato argentino, il 24 marzo 1976. Il golpe militare guidato dal generale Jorge Videla, diede inizio a 7 anni di regime assoluto, di dittatura feroce, di torture, omicidi e repressione sanguinaria nei confronti di ogni forma di opposizione, vera o supposta che fosse. Il regime godette sin dall’inizio di connivenze importanti, quindi al fine di rendere le eliminazioni “sostenibili” elaborò un sistema di uccisione ritenuto compatibile con la sensibilità cattolica della popolazione: i sequestrati dopo interrogatori e torture, venivano sottoposti a iniezioni di pentothal e quindi tramite voli, appositamente programmati dalle forze armate e dai servizi di sicurezza, scaricati nel Mar de la Plata, la maggior parte ancora vivi.

Alle correnti ed agli abitanti degli oceani veniva affidato il compito di far sparire i corpi. Molti corpi venivano comunque pietosamente restituiti dalle acque, ma dalle coste argentine venivano fatti rapidamente sparire e sepolti in fosse comuni, invece le autorità dell’Uruguay procedevano alle usuali indagini con tanto di autopsie. Va detto che anche in Uruguay era attiva una dittatura militare inclusa nel piano Condor. In ogni caso nessuna indagine portò mai a chiarire la provenienza di quei corpi, anzi inizialmente si credette a corpi caduti da navi.

L’orrore dell’organizzazione posta in essere è evidente: equipaggi consenzienti e consapevoli di sterminare decine di persone buttandole giù da un aereo facevano il loro sporco lavoro con quella che per i carnefici nazisti Daniel Goldhagen chiamò attitudine volenterosa. E’ la banalità del male mirabilmente descritta da Hanna Arendt, che in questo caso viene rappresentata in tutta la sua sconvolgente ed orribile quotidianità nel film Garage Olimpo (di Marco Bechis).

Nell’arco dei venti anni successivi ai fatti però non tutti seppero mantenere il silenzio, anzi apparve chiaro che diversi protagonisti dei voli della morte, o per vanteria o per liberarsi dal peso dell’orrore, avevano bisogno di raccontare: emerse così, lentamente, la verità.

Nel 1995 il capitano della Marina, Adolfo Scilingo, affidò ad un giornalista, Horacio Verbitsky (fatti narrati nel libro Il Volo), la sua confessione: fu il primo a riconoscere di aver assassinato in quella maniera 30 persone in due voli. Scilingo riparò successivamente in Spagna dove fu fatto arrestare dal giudice Baltasar Garzón e nel 2007 fu condannato a 640 anni di carcere dall’Audiencia Nacional.

In Europa il fatto più noto, e controverso, è quello di un pilota della marina argentina, naturalizzato olandese, Julio Andres Poch, che volava come comandante per la Transavia. Durante una discussione tra colleghi giustificò i fatti relativi ai voli della morte. La voce lentamente divenne indagine della magistratura ed infine il pilota fu arrestato in Spagna a Valencia proprio in occasione del suo ultimo volo prima della pensione, il 22 settembre 2009. E’ tuttora detenuto in Argentina nella prigione di Marcos Paz, in attesa che il processo a cui è sottoposto termini.

In Argentina dopo un blocco dei processi fra il 1986 e il 1990 a causa di leggi e decreti di indulto, dichiarati poi incostituzionali dalla Corte Suprema, la macchina giudiziaria si è rimessa in cammino nel 2005, sorretta dalla determinazione dell’allora Presidente dell’Argentina Nestor Kirchner. Oltre a otto piloti della morte, sono imputati una settantina di membri della Marina Militare, della Guardia Costiera e della Polizia.

L’accusa, in un dibattimento molto complesso, e soprattutto lungo diversi anni, è di “privazione illegittima della libertà, torture e assassinio” di 789 cittadini, non solo argentini, rastrellati di casa in casa dai “battaglioni della morte” nel corso della “guerra per la riorganizzazione nazionale” fra il 1976 e il 1983 e radunati prima del massacro nella base della Marina Militare di Punta Indio nei pressi di Buenos Aires e presso l’ESMA (EScuela de Mecánica de la Armada). Si calcola che furono fatte sparire con i voli della morte più di cinquemila persone.

I mezzi usati furono tutti quelli adatti allo scopo in linea con le varie forze armate. Si usarono elicotteri tipo Bell UH1H dell’Ejército Argentino, aerei de Havilland Canada DHC-6 Twin Otter sempre del Ejercito Argentino, Short SC.7 Skyvan della Prefectura Naval Argentina, Lockheed L-188 Electra dell’Aviación Naval Argentina, Fokker F-27-600 della Fuerza Aérea Argentina ed infine il FIAT/Aeritalia G-222 dell’Aviación del Ejército Argentino, da quelle parti soprannominato “Herculito”, purtroppo un nostro prodotto testimone muto di quell’orrore, acquistato in tre esemplari dall’esercito argentino.

vuelosdelamuerte

(4 febbraio 2017)

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