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Turbolenza sull'Atlantico

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Nella notte del 29 novembre 2009 un Airbus A330-200 di Air France (F-GZCK), il volo AF 445  in rotta da Rio De Janeiro a Parigi, si è trovato a fronteggiare, poco prima di raggiungere l'equatore, una forte turbolenza, che lo ha costretto ad una repentina quanto imprevista discesa.

L'aereo stava volando a FL 380 (11.500 metri) sull'Oceano Atlantico, lungo l'aerovia UN 741, e si trovava a circa 700 km a nord delle coste brasiliane, quando è incappato in una severe turbolence in aria prevalentemente chiara (cioè sgombra da nuvole) che ha costretto i piloti a una discesa non programmata.

Non si riportano a bordo conseguenze, né per i passeggeri né per l'equipaggio, e l'aereo, dopo essere risalito alla quota pianificata dopo circa mezz'ora, ha continuato il volo verso Parigi dove è atterrato in orario nella mattinata del 30 novembre.

I piloti, trovandosi in una zona dove i contatti radio con gli enti del controllo aereo sono notoriamente difficoltosi, prima di cambiare quota hanno lanciato un messaggio sulla frequenza 121,5 Mhz (frequenza internazionale di soccorso) per informare della discesa gli altri aerei che si trovavano nelle vicinanze e ridurre così al minimo eventuali rischi di collisione. Un volo della compagnia brasiliana TAM (che proprio nella stessa area ha avuto circa sei mesi fa un episodio analogo conclusosi con una decina di feriti a bordo) ha raccolto il messaggio e ha fatto da “ponte”, trasmettendo al Centro di Controllo Atlantico i particolari della manovra.

Nei giorni successivi, numerosi lanci d'agenzia e articoli di stampa e televisioni, hanno variamente commentato l'accaduto, ponendolo in relazione con quanto successo al volo, sempre di Air France, AF 447 che nella stessa zona era precipitato nel giugno scorso.

In effetti, a prima vista, le analogie tra i due eventi sono impressionanti.

Il volo AF 445 non è altro che il vecchio AF 447 rinumerato dopo l'incidente, la spicchio di cielo è esattamente lo stesso, appena 200 km più a ovest, e il modello è sempre un A330-200 appartenente alla medesima compagnia.

Come hanno riportato i giornali, perfino la BEA (l'ente francese che sta indagando sul crash di giugno) ha emesso un comunicato per affermare che le risultanze dell'ultimo inconveniente avrebbero potuto aiutare a far luce su quanto successo all'aereo scomparso in mare l'estate scorsa.

Con tutto il rispetto per la BEA (il cui operato è stato duramente contestato dai piloti francesi) e per le fonti di informazione, ci sembra di poter affermare che in realtà ci siano ben poche analogie tra i due incidenti.

Il volo AF 445 era a una quota abbastanza alta in relazione al suo peso, il che significa che i margini tra la velocità minima per mantenersi in aria e quella massima dettata dalle limitazioni strutturali dell'aereo erano abbastanza ristretti. E siccome la turbolenza determina bruschi e a volte importanti cambiamenti di velocità, è buona regola di prudenza andare a cercare una quota inferiore, dove i margini di manovra sono maggiori.

In condizioni normali la manovra di discesa viene coordinata col controllo del traffico, ma se ciò non è possibile, allora si fa la famosa chiamata radio sulla frequenza di solito destinata alle emergenze (e sulla quale tutti i piloti stanno sempre in ascolto). Il che non significa che ci sia un “grave ed imminente pericolo di vita”, ma che, semplicemente, ci si preoccupa di avvertire tutti gli aerei che si trovano a volare nello stesso spazio aereo della variazione di quota e/o rotta.

Una manovra dunque (e una procedura di comunicazione della manovra) che, benché non comuni, rientrano perfettamente nella normale gestione di un volo.

E infatti il 1° dicembre la compagnia francese si è premurata di comunicare che l'equipaggio del volo AF 445 non aveva fatto altro che applicare una procedura normale per rispondere adeguatamente  alla situazione in atto, e che il messaggio sulla frequenza di emergenza era stato dettato solo dall'impossibilità di contattare gli enti del controllo aereo.

Tutto quello che si può coerentemente affermare è dunque che, come da lungo tempo risaputo nella comunità aeronautica, in quella zona dell'Atlantico le comunicazioni radio sono difficili, che non c'è copertura radar e che a cavallo dell'equatore staziona in permanenza una perturbazione che i meteorologi definiscono “convergenza intertropicale”.

Tutto il resto, a partire dalle dichiarazioni dei passeggeri che “hanno avuto l'impressione che l'aereo fosse fuori controllo”, o che hanno “visto le hostess impallidire”, non è nient'altro che folklore, e poco o niente aiuta a fare luce sulle vere cause dei due incidenti.

E se lo scenario generale è apparentemente lo stesso, non bisogna dimenticare che sul tragico volo di giugno si registrò una impressionante serie di malfunzionamenti ai sistemi di rilevazione della velocità e di governo dell'aereo che, anche volendo, avrebbero reso impossibile all'equipaggio l'adozione delle elementari e, lo ribadiamo, normalissime misure precauzionali che i piloti del volo AF 445 del 29 novembre hanno invece preso.

(12 dicembre 2009)

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