Iscrizione Newsletter

Iscriviti alla Newsletter



Login

Unipolarità e terrorismo

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

L’attentato dell'11 settembre 2001 ha messo definitivamente in luce la realtà del mondo unipolare, centrato sull’iperpotenza degli Stati Uniti d’America. Il mondo occidentale si è accorto che la nozione di peacebuilding doveva essere modificata.

Da concetto collegato all’assistenza umanitaria doveva diventare componente essenziale ed irrinunciabile della sicurezza nazionale, come esplicitamente sostenuto nel National Security Strategy degli Stati Uniti del settembre 2002.

La strategia del terrorismo ed i suoi “effetti indiretti”, quella che potremmo definire la scienza della paura, hanno senza dubbio facilitato l’applicazione di normative e procedure di controllo sulla nostra privacy, che fino a qualche tempo prima sarebbero state improponibili. L’aereo come nuovo strumento di distruzione del terrorismo ha ridisegnato le alleanze ed i modi di porsi tra Stato e Stato, ed ha forzato la mano all’America nell’esplicitare la sua forza.

Il problema dello sfruttamento a scopi privati delle risorse pubbliche non riguarda ovviamente solo gli americani.

Mantenere l’esercito a spese dello Stato, “il materialismo militare”, alimenta i cicli produttivi del commercio e soprattutto delle industrie collegate. Questo tipo di business si espande a macchia d’olio con l’economia dell’occupazione e soprattutto della successiva ricostruzione. Il sistema militare si è come “fuso” con il suo indotto al punto da esserne totalmente condizionato. Deterrenza e sanzioni nei confronti di un ipotetico nemico non sono più sufficienti, è necessaria una guerra o altra operazione che dia in qualche modo gli stessi profitti.

La guerra in Iraq ed in Afghanistan, ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che le guerre non si vincono con la sola forza militare.

E’ necessario l’appoggio delle popolazioni locali e soprattutto è fondamentale l’abilità nell’interrompere il legame invisibile ma indissolubile tra il popolo ed i gruppi di potere locali.

La strategia politica deve essere più raffinata e lungimirante e nel contempo fare ricorso a truppe selezionate.

L’annoso problema della scarsa selezione non riguarda purtroppo solo le forze armate, il concetto di selezione nell’ultimo ventennio è drasticamente mutato. Le forze armate  rappresentano un lavoro retribuito e niente più, sono rari i casi in cui alla necessità sia associata una sana vocazione. Nelle forze armate in special modo è in forte aumento il fenomeno della deviazione criminale.

Per quanto riguarda le forze armate italiane, per esempio, siamo passati ad una selezione, rispetto alle domande effettuate, di 1:25 per gli ufficiali e di 1:13 per i sottufficiali negli anni ottanta e novanta contro una selezione attuale teorica di 1:3,7 che in pratica significa uno su due, aggravata dalla possibilità attraverso le autocertificazioni di nascondere i precedenti penali.

Il risultato è ovvio.

La diretta conseguenza è che in conflitti complessi e delicati come quelli in medio oriente, dove è strisciante il pericolo di una strumentalizzazione religiosa, l’utilizzo di soldati non propriamente addestrati e reclutati raschiando il fondo del barile per esempio in città e quartieri americani depressi, unitamente ai bombardamenti mirati a colpire i terroristi dove accade che vengano uccisi molti civili, creano le premesse per una guerra senza fine.

Se le forze in gioco sono queste, e se ai piani politici più alti non si sviluppa questa necessaria sensibilità, strategie di nation building proposte da alcuni “lungimiranti” generali per uscire da questo pantano della guerra, non troveranno mai applicazione.

Questa analisi e queste riflessioni non ci esimono dalla ferma condanna nei confronti delle vigliacche azioni terroristiche perpetrate nei confronti di inermi civili e dalla conseguente necessità di delegittimare il terrorismo. Ma, in una prospettiva risolutiva e di pace, è opportuno che non ci si dimentichi di altre vittime innocenti, come i tanti bambini che muoiono sotto le bombe di marca occidentale, che in un delirio di onnipotenza tecnico-ideologica sono state definite smart bomb (bombe intelligenti).

La matrice del terrorismo aereo è internazionale perché coinvolge più Stati, si muove più velocemente del terrorismo urbano, è più difficile da prevenire ed affrontare; richiede uno sforzo enorme e congiunto della Comunità internazionale.

E se è vero che il primo dirottamento di un aeroplano fu uno shock per la società degli anni ’70, è ancor più vero che l’attentato alle Torri del 2001 si pone come pietra miliare non solo del “nuovo terrorismo” ma anche della storia del mondo moderno. Molteplici e complesse sono le origini e le motivazioni di quell’azione, altrettanto quanto le motivazioni dell’essere umano che, con i suoi miracoli e le sue nefandezze, rimane il grande artefice della storia.

(26 marzo 2010)

RSS
RSS