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Motivazioni del terrorismo

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Capire le  motivazioni del terrorismo probabilmente viene ritenuto di secondo piano rispetto all’azione di contrasto all’attacco di questo tipo, una analisi più attenta sul tema invece potrebbe aiutare a meglio indirizzare gli sforzi di antiterrorismo.

In questo settore riveste particolare rilievo sia lo spirito dell’attentatore, sia la logica dell’attentato. Gli israeliani ad esempio hanno sviluppato tecniche sofisticate allo scopo di individuare e neutralizzare le minacce provenienti dai terroristi suicidi. Secondo lo psicologo israeliano Ariel Merari, che ha studiato il fenomeno dalla sua comparsa in Libano, le organizzazioni non creano la disponibilità individuale a compiere un attacco suicida, ma cercano piuttosto individui che hanno manifestato la loro volontà di morire per la causa o per vendicarsi del nemico.

Si può provare a semplificare l’analisi partendo, invece che dalle motivazioni, dai risultati, cioè tentare di capire a quali organizzazioni può far comodo quel tipo di risultato. Il trasporto aereo è uno dei settori più esposti (sin dall’inizio di questo tipo di attacco cioè i dirottamenti a Cuba) grazie alla rilevanza mediatica, alla potenza ed al costo del mezzo coinvolto, alle implicazioni economiche e commerciali oltre che politiche internazionali, ciò offre la possibilità di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, in quanto il sistema di trasporto aereo mondiale essendo un sistema complesso è facilmente esposto al cosiddetto collasso dei sistemi complessi (ne è evidente esempio il caso della nube vulcanica islandese). Fino all’estrema azione del bombardamento di città “nemiche” tramite dirottatori suicidi che usano l’aereo stesso come ordigno. Gli attacchi poi avvengono su obiettivi non prevedibili ed in tempi scelti dall’attentatore, per simbologie tutte particolari, per lo più per colpire a sorpresa (dove gli pare, quando gli pare).

Ma cosa è un’azione terroristica? Per prima cosa bisogna chiarire che cosa intendiamo per terrorismo in generale, senza ulteriori specificazioni, per poi evidenziare quali sono gli elementi o le caratteristiche che riguardano gli atti terroristici sino a quelli suicidi ed infine tentare la conclusione sui vantaggi o sul “cui prodest”.

Il Terrorismo è una guerra asimmetrica. La “guerra impari” o asimmetrica consiste nell’adozione di atti violenti non prevedibili, apparentemente casuali, da parte di un’organizzazione debole, per trarne vantaggio contro una forza militare maggiore. Chiave della “guerra impari” è l’uso, in combattimento, di tattiche inattese e non convenzionali. E’ importante sottolineare che non esiste un sostanziale consenso sulla definizione di terrorismo.

La questione della definizione di terrorismo anima da oltre trenta anni il dibattito tra sedi istituzionali quali organizzazioni internazionali, ministeri degli esteri e ambasciate ed è tuttora controversa anche in sede ONU. Il tema della titolarità ad amministrare la violenza è quello centrale.

Sembra infatti che la natura terroristica di un atto di violenza non dipenda dalla qualità delle vittime, cioè i civili, ma piuttosto dall'identità dell'agente della violenza. Se ad uccidere i civili sono militari su ordine dei governi, come a Hiroshima, a Dresda, a Grozny o a Jenin, non si tratta di terrorismo, ma di danni collaterali o crimini di guerra in caso che il dolo sia accertato. Se invece ad uccidere i civili sono individui o gruppi non governativi, allora la parola terrorismo è appropriata, a prescindere dalle cause.

La parola guerra invece si riferisce ad un ampio sforzo militare, condotto da nazioni nemiche ben identificate, con o senza dichiarazione preventiva sull'inizio delle operazioni belliche. In definitiva entrambi i metodi cercano di fiaccare la resistenza del nemico instillando nelle sue fila paura, cioè timore di essere uccisi, distrutti, sopraffatti. Perciò quando gli Stati Uniti risposero all'attacco terroristico di New York, ci fu incertezza se definire propriamente "guerra" quell'intervento, poiché solo uno dei belligeranti era un agente governativo. La questione si risolse linguisticamente coniugando i due termini nell'espressione "guerra al terrorismo".

Si tratta del fatto che, guerra o terrorismo che sia, gli scontri localizzati in Cecenia, in Palestina, nel Kashmir o altrove, giusti o senza giustificazione che siano, sono guerre di liberazione per la costituzione locale di stati indipendenti.

Quindi gli attuali terroristi mirano ad ottenere un riconoscimento come entità politiche dotate a loro volta di governi. Il che li rende atti ad uscire dal terrorismo (secondo i termini della definizione data all'inizio), e infatti si ritiene che questi conflitti siano risolvibili politicamente, nonostante la fase terroristica in corso.

(3 maggio 2010)

 

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