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Eyjafjallajökull

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Stiamo ormai prendendo confidenza con questa parola che, per noi latini, è quasi peggio di un rumoraccio. Le dizioni di parole, anche abbastanza simili, nei dialetti baltici sono un vero rompicapo, ad ogni modo vediamo di presentarvi per bene il colpevole, l’indagato, il ladro di viaggi.

E' il vulcano islandese Eyjafjöll, che significa montagna delle isole, parola composta da fjöll (montagna) e eyja (isole). Le isole in questione sono le Isole Vestmann, situate a sudovest e ben visibili dal vulcano. Lo stesso si trova nel sud del paese, non lontano dalla capitale, a 5 km dalla costa Atlantica (ed a ovest di un altro ghiacciaio ben più grande, con un nome che è tutto un programma, Mýrdalsjökull), come sua unica attenuate ha che non eruttava dal 1823! L'Eyjafjöll è sormontato da una caldera di 2,5 km di diametro. Gran parte del vulcano è perennemente coperta da una spessa coltre di ghiaccio.

Il ghiacciaio che ricopre il vulcano si chiama Eyjafjallajökull (che per metonimia a volte viene identificato direttamente col vulcano), jökull in islandese significa ghiacciaio e quindi la parola composita significa ghiacciaio del vulcano delle isole, con l’accortezza di notare che componendo la nuova parola la dizione fjöll diviene fjalla. L’ammasso gelato riveste un’area di 100 km quadrati (quattro volte Ladispoli) ed è il quinto per estensione fra i ghiacciai islandesi.

Inutile dire che questa zona dell’Islanda è davvero spettacolare, una vera e propria meraviglia della natura che lascia senza fiato, ma da quando Eyjafjöll, nella notte del 21 marzo 2010, ha iniziato a fare i capricci la situazione è diventata sempre più pesante e non perché abbia causato vittime, (sono state evacuate 700 persone senza grandi traumi), ma perché i suoi capricci (o per meglio dire quelli delle autorità aeronautiche), hanno bloccato tutti gli aeroporti di mezza Europa.

Mentre Eurocontrol (l’ente pan-europeo di controllo del traffico aereo) parla di un graduale ritorno alla normalità e le compagnie aeree insieme ai gestori aeroportuali europei fanno la conta dei danni apprestandosi a chiedere una qualche forma di risarcimento per i mancati guadagni, vale la pena intanto di soffermarsi a riflettere sulle giustificazioni reali di un blocco del trasporto aereo che non ha precedenti. Parliamo di una eruzione a circa mille chilometri dalle coste più vicine cioè la Scozia e la Norvegia.

La sicurezza aerea si basa essenzialmente sullo studio dei precedenti conosciuti, e ogni evento viene analizzato non già per ricercare responsabilità penali e responsabilità civili, ma per trarre da ogni incidente, o mancato incidente, gli insegnamenti che permettano di evitare futuri rischi. E nel campo delle eruzioni vulcaniche correlate al volo, i precedenti esistono e sono stati ben studiati. Questi ed altri incidenti hanno prodotto poi procedure di prevenzione. Nella consapevolezza che la migliore procedura applicabile è il fermo delle macchine, Eurocontrol e le singole autorità nazionali hanno deciso nei giorni passati di tenere a terra più di mezza Europa. Ora ricominciano Scozia e Irlanda.

Detto questo, viene da osservare che basarsi su una previsione matematica senza misurazioni dirette è per lo meno avventato, produce danni e non aumenta la sicurezza, a meno che, fare sicurezza del volo voglia dire restarsene a casa. In Italia esiste poi l’esperienza lunga e ben studiata dell’Etna, l’aeroporto di Catania per esempio, è stato chiuso solo un paio di volte negli ultimi dieci anni. La normativa prevede che sia emesso un ASHTAM, vale a dire un bollettino informativo consegnato a tutti i piloti, specifico per nube vulcanica, che consente di evitare rotte pericolose.

Pare che ad oggi non si riesca ad emetterne uno concordato da tutti gli enti europei. Eppure, sia con delle sonde sia con appositi voli militari si potrebbe verificare fisicamente se le rotte civili sono interessate da contaminazione da ceneri vulcaniche in modo da stabilire con efficienza quali spazi utilizzare e quali evitare (tanto per fare un esempio comprensibile un po’ quello che fa la safety-car durante i gran premi in caso di pioggia forte).

A mio modo di vedere i fatti, la gestione dei rischi potenziali da parte dei governi è stata carente portando un sistema complesso come quello aeronautico praticamente al collasso.

(7 maggio 2010)

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