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Lo spirito dell'attentatore

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La particolare distruttività dell’attentato suicida dipende dal fatto che il terrorista suicida è una “bomba intelligente”, capace quindi di compiere opportuni “aggiustamenti” relativi al luogo e al momento stabiliti per l’esplosione, così da massimizzarne l’impatto sull’ambiente circostante.

Inoltre egli può raggiungere il suo obiettivo anche in aree con una forte presenza di agenti di sicurezza, poiché non ha necessità di vie di fuga dopo l’attacco. Anche il tipo di arma utilizzata, che combina chiodi, cuscinetti a sfera e vari frammenti metallici all’esplosivo, è concepito per causare il maggior numero possibile di morti e feriti. Allo stesso tempo questo tipo di ordigno, preparato con “ingredienti” che, a parte l’esplosivo, possono essere trovati con facilità, è estremamente economico, semplice da costruire e da utilizzare.

La stessa morte del terrorista, nel caso l’attacco abbia successo, rappresenta un importante vantaggio per l’organizzazione, perché esclude la possibilità che l’attentatore venga catturato e, sottoposto ad interrogatorio, divulghi preziose informazioni sul gruppo e sui suoi piani. Inoltre, la violenza di un attacco suicida e la morte del suo esecutore, che esprime in questo modo una totale dedizione alla causa, garantiscono all’azione una notevole copertura mediatica, permettendo ai terroristi, da un lato di terrorizzare un’audience molto ampia, dall’altro di fare “pubblicità” a se stessi e alla loro causa.

Visto che il terrorismo non è di per se una identità politico/ideologica, ma è una forma di guerra come tutte le altre, anche se diversa nelle sue manifestazioni (come del resto poi, lo sono tra di loro anche ciascuna delle altre forme di guerra, e tutte sono feroci, disumane, esecrabili).

Come uscire da questa impasse? Quale guerra giustificare, quale terrorismo giustificare? Chi può giudicare? Tuttavia molti analisti sostengono che il rischio complessivo da terrorismo non è alto, anzi i più sostengono che il terrorismo mai arriva ad un risultato se non nelle guerre di liberazione.

Ma nonostante il basso rischio, l’impressione, la sorpresa e la paura hanno invaso gli Stati Uniti e il mondo, quindi se andiamo a giudicare dai risultati anche il terrorismo “globalizzato” qualcosa la ottiene, semplificando si può dire che ottiene un aumento dei costi dei governi attaccati (misure di protezione, body scanner ecc.) ed un fermo dell’economia soprattutto nei paesi poveri, che induce un po’ dappertutto una riduzione degli spazi di democrazia e questo è favorevole all’instaurarsi di lotte sempre più radicali e quindi favorevoli al mondo terroristico.

I continui atti terroristici che avvengono in alcuni paesi in via di sviluppo, come Colombia e Pakistan, colpiscono duramente il loro commercio estero, frenando le transazioni di beni e servizi, sia a livello nazionale che internazionale. L’Occidente è, infatti, il loro principale mercato d’esportazione e gli attentati hanno effetti non trascurabili. Ad esempio, in Colombia, l’aumento dell’1% degli attacchi, che colpiscono spesso interessi americani, provoca la diminuzione dell’1% delle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Le misure di sicurezza messe in atto dai governi occidentali per far fronte al terrorismo non fanno che rinforzare questi effetti nefasti. Rendono, infatti, più difficile il movimento di beni e persone, soprattutto alle frontiere. Ad esempio, a causa degli attentati compiuti in Grecia contro bersagli americani, i fuoriusciti greci ancor oggi possono godere solo di un visto turistico per recarsi negli Stati Uniti.

Gli studi sull’argomento dimostrano che, a parte gli attentati compiuti nei periodi bellici come quelli che ogni giorno colpiscono l’Iraq, tre quarti degli attentati avviene nei paesi in via di sviluppo. Se le vittime di tali atti sono quasi sempre cittadini dei paesi più avanzati, le conseguenze economiche, però, si ripercuotono proprio sui paesi in via di sviluppo.

Gli Stati Uniti sono stati pesantemente colpiti dai fatti dell’11 settembre, ma la ripercussione sulla loro economia è stata solo transitoria. Solo se gli attentati colpissero ripetutamente uno stesso luogo, si registrerebbe un effetto duraturo. Secondo alcuni studi, il reddito globale dei paesi baschi sarebbe stato più elevato di almeno il 10% se, durante gli anni ’70 e ’80, l’ETA non avesse compiuto numerosi attentati.

(10 maggio 2010)

 

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