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Paura di volare

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Venticinquesima puntata del dossier Alitalia CAI, per gentile concessione di Felice Saulino www.felicesaulino.it
Parlare di sicurezza con i vertici d’una compagnia aerea provoca sempre reazioni più o meno risentite.

È normale, visto che quel business dipende in larga misura dal livello d’affidabilità percepito dai passeggeri. Ma far finta di niente dopo il Mayday e l’atterraggio d’emergenza d’un volo intercontinentale con più di 250 persone a bordo è anomalo. È qualcosa che va oltre la “normalità” d’un vettore che difende la propria reputazione in fatto di sicurezza. Alitalia lo ha fatto.

Ecco il lancio Ansa del 16 giugno scorso: “Momenti di paura ieri a bordo del volo Alitalia 615 da Boston a Roma quando, poco dopo il decollo, uno dei due motori ha preso fuoco. Il pilota ha chiesto alla torre di controllo l'autorizzazione a rientrare all'aeroporto dopo avere lanciato l'allarme 'Mayday'. La manovra di atterraggio è riuscita in modo perfetto. Nessuno dei passeggeri è rimasto ferito. L'Airbus 330 aveva a bordo 244 passeggeri e 13 persone di equipaggio”.

Bene, il giorno dopo Cai non ha ritenuto opportuno diffondere una sola riga di comunicato sull’incidente. Interpellato sulle ragioni di questo silenzio, l’ufficio stampa si è limitato a giustificarsi così: “Non c’era notizia... non è successo niente... abbiamo commentato l’episodio con un paio di agenzie di stampa rilevando che c’è stata una piccola disfunzione. Il rientro è stato perfetto...”.

Secondo il portavoce della compagnia, si pensa a bird stike, insomma a qualche uccello risucchiato da un motore. Detto questo, viene escluso categoricamente un problema di manutenzione perché ‘le manutenzioni Alitalia sono fatte tutte al massimo livello’ .

L’incidente è stato colpevolmente ignorato dai media nazionali. Nessun cronista si è preso la briga di approfondire. Se lo avesse fatto, avrebbe scoperto che tre mesi prima, il 13 marzo, un altro Airbus 330 (volo AZ 628) era stato costretto ad un atterraggio fuori programma, a Chicago, dopo che il pilota aveva rilevato fumo in cabina a causa della rottura di una turbina di pressurizzazione. Disavventura risoltasi senza conseguenze grazie al pilota che era riuscito a portare a terra l’aereo fuori peso massimo per il carburante appena imbarcato.

Se poi qualche giornalista di stanza negli Usa, dopo l’emergenza di Boston, avesse fatto un paio di telefonate, avrebbe scoperto che la Faa (Federal Aviation Administation) aveva deciso d’intervenire. Infatti ha sospeso la certificazione ETOPS all’Alitalia. La conseguenza è che adesso tutti gli Airbus Alitalia devono modificare le rotte, in modo da volare più vicini agli aeroporti Usa.

E qui si apre il lungo e doloroso capitolo della manutenzione Alitalia. La vecchia e vituperata compagnia di bandiera faceva tutto in casa. Le officine erano controllate dalla compagnia e i tecnici avevano la possibilità d’un filo diretto con i piloti. Poi è arrivata Cai e la mannaia della ristrutturazione è calata anche sui tecnici della manutenzione.

Così AMS è ancora in carico alla “bad company”, la società messa in liquidazione e affidata a Fantozzi che vuole venderla per sei milioni di euro mentre una cordata di cui Cai fa parte offre mezzo milione di euro. Risultato: i 350 dipendenti di Ams sono in Cig a rotazione (due giorni a settimana) mentre i motori da riparare si accumulano.

Non stanno meglio i dipendenti di Atitech, la società napoletana di manutenzione pesante. Per evitare la chiusura, i 650 dipendenti sono stati costretti ad accettare dalla cordata che ha rilevato l’azienda (Finmeccanica, Fintecna e Alitalia) un contratto con stipendi decurtati, minori garanzie e orari di lavoro più pesanti.

Intanto Cai, ossessionata dal taglio dei costi di gestione, continua ad affidarsi all’estero. I B777 vengono revisionati a Singapore. I B767 in Israele. Quanto agli Airbus 330, uno dei due motori dell’incidente di Boston era stato revisionato all’estero, mentre a febbraio scorso un altro è stato inviato in un’officina Svizzera.

Cosa vietata dagli accordi solennemente sottoscritti a Palazzo Chigi...

Articolo pubblicato su www.felicesaulino.it sotto licenza
Creative Commons, riprodotto per gentile concessione dell'autore

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