Iscrizione Newsletter

Iscriviti alla Newsletter



Login

Questione di soldi

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

Il mese di agosto fa registrare un pesante bilancio sul fronte degli incidenti aerei, con due eventi (13 morti in totale) che, pur diversi tra di loro per molti particolari, presentano tuttavia alcuni inquietanti tratti in comune, sui quali vale la pena di riflettere.

Il primo dei due incidenti risale al 2 di agosto sull'aeroporto siberiano di Igarka, dove un Antonov AN-24 della compagnia russa Katekavia ha impattato il terreno 500 metri prima dell'inizio della pista; il secondo invece è avvenuto il giorno 16 a San Andrès (isola colombiana nell'Atlantico), dove un B-737-700 della colombiana Aires ha toccato il suolo una cinquantina di metri prima della pista. Ambedue gli aerei si sono spezzati in diverse parti e uno di essi, quello russo, ha preso fuoco.

Gli aerei coinvolti nei due tragici atterraggi sono quanto di più diverso si possa immaginare: un turboelica progettato negli anni '60, quello russo, e un jet appartenente a quella che, alla Boeing, chiamano addirittura "next generation" (NG), quello colombiano. Così come enormemente lontani sono i due aeroporti, l'uno situato a nord del circolo polare artico e l'altro all'interno della fascia equatoriale.

Ma le differenze si fermano qui, perché entrambi gli aerei stavano effettuando un avvicinamento strumentale "non di precisione", in condizioni meteorologiche caratterizzate dalla presenza di temporali, su piste situate in zone scarsamente illuminate, e in orari compresi tra l'una e le due di notte.

L'aeroporto di Igarka (che non figura nelle carte aeronautiche occidentali) è situato su un isola del fiume Jenisej, in una zona praticamente disabitata; quello di San Andrès si trova all'estremità nord dell'isola e la attraversa in tutta la sua larghezza. Tutte condizioni idonee al manifestarsi del fenomeno di "black hole" (buco nero), una sorta di illusione ottica che, in mancanza di riferimenti luminosi prima e dopo la pista, rende difficoltosa la percezione dell'inclinazione della traiettoria di avvicinamento. Ambedue le piste sono, per giunta, scarsamente illuminate.

In situazioni del genere, sarebbe opportuno effettuare la manovra di avvicinamento avvalendosi dell'ausilio di un ILS (Instrument Landing System), un sistema "di precisione" che fornisce al pilota indicazioni strumentali atte a mantenersi sulla corretta pendenza di discesa verso la pista.

A Igarka l'ILS c'è, ma al momento dell'incidente non era in funzione, e fonti attendibili dicono che è così da mesi (se non da anni); a San Andrès invece l'ILS non c'è proprio: l'isola vive un momento di grosso sviluppo turistico e l'aeroporto ha subito importanti lavori di ammodernamento che però hanno per ora riguardato solo i piazzali di sosta e la palazzina del terminal... per l'ILS, i soldi non sono ancora saltati fuori.

E così, sia il pilota russo che il suo collega colombiano (entrambi sopravvissuti) stavano volando una procedura "non di precisione", basata sull'uso di un radiofaro NDB che è in grado solo di indicare in quale direzione si trova la pista, ma non è di nessun ausilio nell'impostazione della planata. C'è inoltre da considerare che, al giorno d'oggi, il progresso tecnologico ha reso via via meno frequenti le procedure di questo tipo, e i piloti sono sempre meno abituati a farle. Ci sarebbe, è vero, il simulatore di volo, ma la frenetica corsa alla riduzione dei costi, soprattutto per le compagnie più piccole, ha pesantemente inciso anche sulle spese destinate all'addestramento e al riaddestramento periodico degli equipaggi.

A rendere ancora più arduo il compito dei piloti, la situazione meteorologica, con le raffiche ascensionali e discensionali associate ai temporali che certo non aiutano a mantenere la corretta pendenza di avvicinamento, e gli scrosci di pioggia che riducono improvvisamente la visibilità.

E a completare il quadro, l'orario degli incidenti: quasi le due di notte, ai limiti cioè di quell'arco di tempo denominato WOCL durante il quale le prestazioni psicofisiche dell'uomo toccano il loro minimo, e gli effetti della fatica riducono pesantemente il livello di efficienza dell'equipaggio.

Insomma: un micidiale cocktail di situazioni, capace di porre seri problemi anche all'equipaggio più esperto e addestrato. Un cocktail il cui ingrediente principale è però uno solo: il denaro.

Denaro per equipaggiare decentemente certi aeroporti. Denaro per mettere in piedi programmi di addestramento efficaci. Denaro per assumere equipaggi e comprare aerei, in modo di poter costruire turni di volo meno massacranti.

Tutte spese che farebbero però inevitabilmente lievitare il prezzo dei biglietti... un'eresia, in un mondo dove al grande pubblico sembra perfettamente normale che un volo costi meno del taxi preso per andare in aeroporto.

(21 agosto 2010)

RSS
RSS