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Alitaglia

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Trentesima puntata del dossier Alitalia CAI, per gentile concessione di Felice Saulino www.felicesaulino.it
La compagnia di bandierina vuole cacciare duemila dipendenti.

Ci siamo. L’Alitalia si prepara a tagliare duemila posti di lavoro entro fine anno.

Dopo tutti gli spot estivi sulle perdite dimezzate (rispetto al 2009), sull’aumento dei passeggeri e sul pareggio operativo prossimo venturo (2011), l’approssimarsi dell’autunno costringe l’azienda dei “patrioti” berlusconiani ad ammettere che le cose non vanno poi tanto bene. E che la realtà della “compagnia di bandierina” è ben diversa dall’immagine trasmessa fin qui dai tanti, troppi giornali che hanno continuato a prendere per buone (senza alcuna verifica) le trionfalistiche dichiarazioni dell’ineffabile coppia Colaninno-Sabelli.

Le prime indiscrezioni sui tagli in arrivo sono apparse sul Corriere della Sera di domenica 19 settembre e sono state subito riprese dagli altri quotidiani. CAI ha replicato con una smentita che, a leggerla bene, non smentisce niente: “L’azienda non conferma i contenuti dell’articolo”. Punto.

Secondo il Messaggero di lunedì 20 settembre, Napoleone Sabelli e il capo del personale Di Stefano stanno mettendo a punto un “piano di efficientamento” (sic!). Insomma, si preparano a sopprimere 1400 posti di lavoro entro la fine di quest’anno. Più 600 contratti di precari che non verranno rinnovati. Totale 2.000 tagli, appunto. Ma guai a parlare di esuberi e tanto meno di licenziamenti.

Secondo la versione ufficiosa, CAI starebbe solo cercando di tornare alle origini, cioè ai 12.600 dipendenti previsti dal piano Fenice contro i 14 mila che attualmente lavorerebbero per la compagnia. L’uso del condizionale deriva dal fatto che fino a pochi giorni fa, quindi fino alla comparsa del numero 14 mila, Napoleone Sabelli e i vertici aziendali non avevano mai voluto fornire i dati del personale in forza. Cosa vietata dagli accordi di Palazzo Chigi.

Ma se è per questo, Cai si è distinta per tutta una serie di violazioni dell’intesa sottoscritta due anni fa con i sindacati e solennemente garantita dal lodo firmato dal vicepresidente del Consiglio Gianni Letta, il famoso “allodoLetta”...

Si va dalla mancata applicazione dell’istituto della cosiddetta “solidarietà espansiva”, richiesta da 800 persone, alle mancate assunzioni legate all’aumento di attività, fino ai vuoti d’organico più volte denunciati da piloti e assistenti di volo. A questo punto, i 14 mila dipendenti adesso dichiarati (in via ufficiosa) dall’azienda sono tutti da verificare.

Comunque sia, la domanda da girare a CAI e al governo è quella, semplice semplice, fatta da Silvia, ex dipendente Alitalia in cassa integrazione da dicembre 2008, in una lettera pubblicata dal quotidiano online “Inviato speciale”. Eccola: “Come può un’azienda nata 18 mesi fa, aiutata dallo Stato con 40 milioni di sgravi fiscali, con il monopolio sulla Roma-Milano, con personale riassunto con contratti low-cost e con 7.000 persone e 100 aeromobili in meno, dichiarare lo stato di crisi?”.

La verità, come recita il titolo che due anni fa abbiamo dato a questo dossier, è che quello dell’Alitalia affidata alla “cordata patriottica” è “un disastro annunciato”. Irrealistico il Piano Fenice, che non a caso è stato praticamente sepolto. Assurdo concentrare il business sul mercato domestico per sfruttare il monopolio di fatto garantito (per tre anni) dalle misure ad aziendam “regalate” dal governo. Pericoloso affidarsi a manager che del trasporto aereo sapevano poco o nulla. Pericolosissimo fidarsi di una “cordata patriottica” fatta di azionisti interessati soprattutto alle ricompense promesse da Berlusconi e ai benefici di cui avrebbero goduto le loro vere attività di concessionari, costruttori, fornitori di beni e servizi per lo Stato e per le amministrazioni pubbliche.

Non a caso, i patrioti, di fronte ai primi bilanci della nuova Alitalia, si sono rifiutati di mettere mano al portafogli e hanno negato (come un sol uomo) qualsiasi ipotesi di aumento di capitale. Ecco perché Napoleone Sabelli si è dovuto occupare soprattutto dei costi e dei tagli. E adesso che i soldi in cassa non bastano più è stato costretto a inventarsi il “piano di efficientamento” e il “ritorno ai livelli occupazionali previsti dal Piano Fenice”. Un modo come un altro per giustificare i tagli di personale con successiva vendita di servizi (bagagli e check-in) fin qui gestiti direttamente dalla compagnia.

L’obiettivo è quello di risparmiare 108 milioni di euro nel secondo semestre dell’anno per cercare di arrivare, senza finire al tappeto, all’ultimo round che è quello del passaggio ad Air France.

Articolo pubblicato su www.felicesaulino.it sotto licenza
Creative Commons, riprodotto per gentile concessione dell'autore

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