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Buon anno in musica

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Articolo già apparso nel numero di dicembre 2010 de "La Gazzetta di Istanbul", organo della comunità italiana a Istanbul, diretta da Fabio L. Grassi.
La barriera comunicativa dovuta alla difficoltà della lingua turca ha una breccia e si chiama musica.

La musica, tutti lo sanno, ha una dimensione universale nonostante le infinite variazioni e le reciproche influenze tra differenti culture che spontaneamente in musica si intrecciano e si rigenerano.

Confucio diceva che per comprendere un popolo occorre sentire la sua musica... Ad Istanbul dunque si rischia di non capirci nulla, tanta è la varietà, ma ci si trova lo stesso a proprio agio proprio grazie alla musica.

La musica fa parte della vita di Istanbul: appare e scompare come il velo di una danzatrice tra i rumori assordanti della metropoli e ne accarezza i contorni. Istanbul è la città delle contraddizioni (vecchio e nuovo, bello e brutto, caldo e freddo, ricco e povero, europeo e asiatico) e la musica è la sua anima peccatrice e redenta.

Scendo nelle tante gallerie commerciali, prendo un taxi, mi fermo ad un chiosco di kebab, salgo sul vaporetto, attraverso una piazza, entro in un portone, e ho sempre la sensazione di percepire una colonna sonora, il sottofondo della vita di 19 milioni di abitanti, una melodica babele di suoni universali, dalla tradizione al pop, dalla musica classica alla new wave, dal canto dei muezzin alla radiolina a palla. Un po’ me la vado cercando, mi fa compagnia, mi serve, mi tiene lontano il malocchio e la solitudine.

Non potevo immaginare seduto all’Eden di Roma, mentre vedevo “Crossing the bridge” di Fatih Akin, lo stesso de “La sposa turca”, che mi sarei trovato dentro quello stesso film pochi anni dopo. Vi capitasse di trovarlo in DVD non perdetevelo. Guardando bene, molti riusciranno persino a riconoscersi e saltando sulla sedia esclameranno: ehi, quello sono io! Davvero...

Quando vado da Tünel a Taksim è ovvio che trovi la musica: mi viene incontro dai bar, dalle orchestrine dei ristoranti, dai suonatori di strada... in quel quartiere la musica “è” una strada che si chiama Galip Dede Caddesi. Dai capolinea del tram per Taksim e del Tünel, scende verso la torre di Galata e continua fino al mare con i suoi negozi di strumenti musicali sui due lati e viene voglia di entrare e provare a suonarli e comprarne uno da portare a casa: della famiglia dei liuti l’Ud, dei mandolini il Saz, dei flauti il Ney (la canna di bambù dei dervisci), e degli oboe lo Zurna, che suona da mediorientale. Poi i tamburi e soprattutto i piatti, specialità locale e sogno di ogni percussionista pro: i famosi piatti Zildjian ancora ribattuti a mano ed esportati in tutto il mondo, un suono inimitabile, l’Harley Davidson dei batteristi pop.

E proprio un Ud voglio comprare a mio fratello, per Natale. Il liuto -la sua forma, la tavola intarsiata, la cassa dal guscio dogato a colori alternati, il manico a elle, la sua caratteristica polifonica- mi appare come il simbolo di una armonia levantina che unisce Italia e Turchia in un accordo lieve. Speriamo che gli piaccia e non me lo rompa in testa.

E speriamo che me lo facciano portare a bordo, ora che da passeggero tornerò a Roma per Capodanno.

Le cose sono cambiate dalla volta che tornando da Chicago, comandante del volo, mi chiesero in modo vago il permesso per imbarcare strumenti musicali molto fragili al seguito dei passeggeri. Acconsentii, pensando si trattasse della solita coppia di chitarre. Arrivò a bordo un’intera orchestra di sessanta elementi!

Le grandi orchestre sono organizzate, spediscono gli strumenti dentro casse apposite che vanno nella stiva, ma questi erano giovani e spensierati, andavano in Europa con lo zaino e ognuno con la sua brava custodia appresso. Non potendo più rimangiarmi la parola, raggiungemmo un compromesso. Violini, viole e persino violoncelli furono subito molto contenti e i fiati pure. Soltanto arpa, casse, tuba e contrabbassi mi tolsero il saluto, costretti dentro al cargo come tristi e spauriti cagnolini.

Ma dopo, in volo, che soddisfazione: mi dedicarono l’Ouverture della Forza del Destino, suonata come da intesa alla fine della cena, nel rispettoso silenzio della cabina, a dodicimila metri sull’Atlantico, di notte...

Che Verdi mi perdoni. E pure voi, se vi ho annoiato con questo mio piccolo racconto di fine anno. Auguri!

(31 dicembre 2010)

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