Iscrizione Newsletter

Iscriviti alla Newsletter



Login

Soltanto gli uccelli...

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

Forse soltanto gli uccelli, a Istanbul, conoscono davvero la città, la sua mappa topografica, i suoi scorci e le sue scorciatoie, le sue pietre e i suoi marmi, i passaggi nascosti, i cortili, le terrazze, le cisterne, i cimiteri e poi le aie, gli orti, i pozzi, le fornaci, e i pontili, le darsene, i fanali.

A noi resta il modo di meravigliarci, vedendo la città dal basso, se decidiamo di perderci per ritrovarci spesso senza fiaato sul tetto di una vecchio palazzo con lo stesso sguardo fendente degli uccelli, la stessa vista di un gabbiano che plana sul distretto di Fatih, lasciando dietro sé Gálata e Beyoğlu.

Ed è cosí che capita: lasciando lʼAtaturk Caddesi, tra lʼacquedotto e il ponte, per la strada che arrampica il colle di Zeyrek, vi troverete tra le vecchie case in legno, alcune catapecchie, altre bellissime, e via-via lascerete il tempo, entrando in una vecchia foto di Alinari, fino a raggiungere le mura del Cristo Pantocratore, monastero, poi palazzo imperiale, poi mausoleo,  sede del clero veneziano, poi moschea e annessa madrassa ed infine luogo abbandonato.

Il lato delle absidi, in parte restaurato, scopre una antica strada romana, la cloaca, e capitelli pulvinati e un giardino immette alla terrazza mozzafiato di un ristorante che domina Haliç, il corno d'oro: si chiama Zeyrekhane e andarci merita davvero. Ma il lato opposto è quello straordinario, i giardini di un tempo, le stanze dei monaci, sono ancora abitati da famiglie popolari e un sentiero tra due muri porta a un piccolo cortile di bicocche secolari, dietro ai vetri una donna armena giá vi scruta , sotterranei affrescati, magazzini, volte e lapidi, frammenti, marmi e panni stesi, il fumo della stufa: come in unʼincisione del Piranesi, il rovinismo romantico di questa suburra resiste ed esiste ancora a cento metri dal futuro, sotto un cielo di stagnola, finché non sará soffiato via in un attimo, come la fiamma di una candela.

Nelle vecchie case abitano operai e muratori, portuali e pescatori, camerieri e ambulanti, lucida scarpe e facchini. Tra la gente più povera, mai questuante, mai tediosa, cʼè una casta bassissima, quella dei cartari straccivendoli, kagit toplayicilari, che a decine rastrellano i quartieri per ripulirli dai cartoni, dai giornali, dalle cartacce che trasportano in enormi sacchi con le ruote.

Sono spesso donne, persino una vecchina minuscola, curvata dallo sforzo e dallʼetà, l'ho vista ieri trascinarsi la fascina, ma anche giovani e padri di famiglia già canuti fanno questo per mangiare, per mandare i figli a scuola.

Vivono di questo e intanto ripuliscono le strade riciclando tonnellate in cambio di centesimi per ogni chilo che pesa nella gerla. Sono migliaia, in giro, nello sterminato formicaio stanbuliota , arrancano nel caos come dannati di un girone tra i beati del consumo, lerciandosi i vestiti. Anime candide e abbandonate dal municipio metropolitano che nemmeno li vede di buon occhio, invece di inquadrarli giustamente con una divisa e uno stipendio fisso!

Il più delle volte nessuno si accorge della loro presenza, nessuno scambia con loro una parola, nessuno li avvicina. Solo gli uccelli li salutano: fanno una breve picchiata, gettano lo sguardo su di loro, un fischio, poi risalgono in alto, lassù nel cielo dove Istanbul appare ancora bellissima. Come prima.

Articolo già apparso nel numero di gennaio 2011 de "La Gazzetta di Istanbul", organo della comunità italiana a Istanbul, diretta da Fabio L. Grassi.

(25 gennaio 2011)

RSS
RSS