Iscrizione Newsletter

Iscriviti alla Newsletter



Login

La strategia del telefonino

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

Alla mancanza di stabilità affettiva generata da una vita vagabonda non sono pochi coloro che, in posti stranieri, cercano un surrogato nel soddisfacimento delle pulsioni sessuali. E le storielle di piloti e hostess, benché siano spesso solo leggende metropolitane, un fondo di verità ce l'hanno.

Come tutti gli itineranti, il navigante è svincolato dal controllo sociale perché è uno straniero. Dunque, è più facile che abbia meno freni inibitori. Se a questo si aggiunge il fatto che molti sono anche pendolari, degli stranieri anche quando sono di riposo, è abbastanza normale che si cerchi di ricreare un panorama, surrogato, di riferimento.

Quando siamo al lavoro utilizziamo la memoria a breve termine per effettuare una miriade di operazioni quotidiane, la maggior parte delle quali sono automatizzate e proceduralizzate. Diamo spesso risposte automatiche nelle operazioni nel cockpit: check-list, radiotelefonia, standard call-outs. Questi automatismi si ritrovano anche fuori dal lavoro vero e proprio, come quando siamo in sosta in qualche città.

Si cerca di fare gruppo con l’equipaggio, andando a mangiare sempre negli stessi posti, cosa che mi suscitava delle perplessità nei primi tempi in cui iniziai questo lavoro. Milano è tanto grande e tutti vanno sempre negli stessi posti? Poi ho capito con il tempo perché qualcuno chiamava “casa” l’Executive, un albergo di Milano. Questo a causa delle molte volte che siamo stati ospiti di questo albergo e del numero notevole di equipaggi che alberga nell’hotel, che crea una qualche familiarità. È forse il bisogno di certezze, che viene a mancare, quando nessun simbolo familiare viene percepito intorno a noi.

Lavorando con equipaggi sempre diversi, vi è un altro fattore di stress; nei pochi minuti rappresentati dalla formalizzazione dell’equipaggio al briefing, si deve capire con chi si andrà a lavorare, cercando di creare un’alchimia che non sempre riesce. La formazione di un gruppo coeso, integrato, con cui condividere un destino comune rappresentato dall’avvicendamento, non sempre è facile.

All’aumentare della fatica operativa molti tendono a chiudersi in se stessi degradando l’efficienza totale dell’equipaggio. Altri hanno la strategia del telefonino. Si chiudono nel cellulare per quattro giorni, mantenendo un cordone ombelicale con casa, cercando il conforto delle voci amiche.

Ecco cosa significa robustezza psichica. O meglio, la sua mancanza. La non volontà di scoprire il mondo, le persone intorno a noi. L’autosufficienza di poter sopravvivere in mezzo a sconosciuti facendo lo sconosciuto. Non si prende e non si dà.

Molti anni fa, una hostess mi disse una cosa di una certa profondità: tu sei pilota, io faccio l’hostess. Per il pilota c’è una forte identificazione con il proprio lavoro, non solo per una questione di prestigio sociale, ma anche per l’interesse a scoprire in ogni volo un elemento di crescita e di sicurezza nell’affrontare future situazioni.

Invece, chi fa la hostess e lo steward vede il proprio lavoro come qualcosa che sta tra parentesi ai propri interessi vitali, che spesso sono molto ricchi. Ho incontrato, negli anni, delle persone molto interessanti, proprio perché avevano coltivato, nel proprio tempo libero, degli interessi, delle competenze, che li avevano fatti crescere. Non di rado, queste persone erano anche dei bravi assistenti di volo che svolgevano con impegno il proprio ruolo.

Diversa è la situazione di chi ha voluto fare l’hostess come alternativa ad un altro qualsiasi lavoro. Quando incontrai questi primi esemplari di hostess, qualche anno fa, le ribattezzai “papere in alto mare”. Infatti, la papera è un animale che ha come caratteristica quella di vivere in un ambiente circoscritto, dove tutte le sponde del lago sono conosciute e dove i punti di riferimento sono a portata di mano (o di becco). Se la papera, però, la mettiamo in alto mare, comincia a dare segni evidenti di disagio; emette schiamazzi inconsulti, gira, rigira, ansima, in cerca di una sponda amica. Non è quello il posto per lei.

Perché soprattutto nel mestiere di assistente di volo, oltre alla parte puramente professionale spesso percepita come marginale nella propria vita lavorativa, è la parte relazionale ad essere il vero succo del lavoro. Essa fornisce la possibilità, a chi sa coglierne le potenzialità, di un arricchimento umano formidabile. C’è la possibilità di poter parlare e scambiare punti di vista con almeno quattrocento persone diverse al giorno, che provengono da tutto il mondo, con le loro storie, il loro modo di vedere la vita, i loro problemi. Milioni di persone, in una vita. È raro trovare un altro lavoro in grado di fornire così tanto materiale per la crescita individuale.

Chi si chiude nel proprio telefonino, non approfitta di questa occasione di crescita e coglie solo gli aspetti deteriori di questa attività, che portata a ritmi infernali può sfociare in grossi disagi psichici. Alla lunga questa strategia non è pagante. O meglio si paga molto di telefonino, ma ancora di più in esperienza.

(23 febbraio 2011)

RSS
RSS