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La lunga attesa

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L’aeroporto è, secondo alcuni, un “non-luogo”. Una terra di confine, dove le uniche persone veramente di casa sono quelle che ogni giorno vi lavorano, il cosiddetto personale “non navigante”, nonché numerosi addetti alle vendite di varie attività commerciali.

Nonostante ciò, i passanti, piuttosto che comparse, sono i veri protagonisti di tutti i giorni della vita aeroportuale, il centro ultimo dell’attenzione di chi al Terminal lavora.

All’esterno il cielo oggi è sereno. Nessuna traccia di vento. La giornata ideale per volare, pensa con insperato ottimismo un passeggero aerofobico, prima di varcare la soglia del T1.

All’interno, comunque, non fa alcuna differenza. Le luci sono quelle di sempre. Ricordano da vicino quelle dei centri commerciali; un luogo di consumo come un altro, dove la dimensione del tempo e dello spazio è stata artificiosamente alterata. Non a caso, alcuni esperti sostengono che l’aeroporto sia il posto ideale per delle attività commerciali. L’effetto su chi vi transita ha esiti contrastanti. C’è chi ama i momenti che precedono la partenza e li trova rilassanti e chi invece li detesta e non vede l’ora di mettere piede nella località di destinazione.

Per alcuni, l’aeroporto è uno spazio ordinato, luccicante, inebriante. Per altri, il caos più totale, un labirinto in cui è facile perdersi. Come in ogni luogo, c’è chi ama lasciasi andare e chi invece preferisce mantenere il controllo assoluto della situazione.

Gli unici veri collegamenti con l’esterno, lungo i corridoi del Terminal, sembrano essere costituiti dai monitor di arrivi e partenze. Una serie di scritte rosse, accanto a varie destinazioni, indica alcuni voli cancellati: Ginevra, Londra, Parigi.

La cosa che può apparire strana è che, mentre alcuni scali risultano operativi, altri, della stessa città, sono chiusi per avverse condizioni meteo. Si tratta sicuramente di aeroporti con caratteristiche diverse, per lunghezza e disposizione delle piste, maggiore o minore disponibilità di impianti adatti a contrastare la neve. Inoltre, in città come Londra, alcuni aeroporti sono distanti l’uno dall’altro quasi un centinaio di chilometri.

I banchi d’accettazione sono presi d’assalto da persone che non aspettano altro che partire. La sospensione del tempo delle attività commerciali non basta ad ingannare la loro attesa. È il terzo giorno consecutivo di cancellazioni, e molti di coloro che arrivano al check-in sono riprotetti da voli di altre compagnie.

Hanno con sé un foglio bianco di una carta sottilissima. Una specie di assegno, rilasciato loro dal vettore originario, che vale come un biglietto universale per la destinazione indicata. La loro è una sorta di priorità, ma se il volo sul quale chiederanno di essere riprotetti è già al completo, dovranno attendere ancora.

Alcuni alzano la voce, altri sono rassegnati. Com’è possibile che la compagnia X abbia cancellato i voli verso una destinazione, mentre la compagnia Y continua ad essere operativa sulla stessa rotta? O ancora, com’è possibile che lo scalo di Stansted sia chiuso, mentre sono regolari i voli per Heathrow, non si tratta pur sempre di due aeroporti londinesi?

Il sole non splende in aeroporto. E, forse, anche il passeggero più ottimista oggi dovrà ricredersi. Magari, la soluzione sarà atterrare a Stansted, anziché a Heathrow. Sono circa settanta chilometri di macchina, ma è pur sempre Londra.

(12 marzo 2011)

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