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Emergenza Giappone

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Come era logicamente prevedibile, il terremoto che ha colpito il Giappone ha avuto importanti ripercussioni anche sul traffico aereo. L'aeroporto di Sendai, colpito dall'onda dello tsunami, ha subito considerevoli danni, ma le altre strutture aeroportuali del paese hanno sostanzialmente resistito.

Nessun volo era fortunatamente presente a Sendai al momento del terremoto, e nonostante i gravissimi danni si sta già lavorando per riportare all'operatività l'aeroporto, che riveste una grande importanza logistica nell'organizzazione dei soccorsi alle popolazioni della prefettura di Myagi, la zona più colpita. Gli scali di Tokyo (Narita e Haneda) dopo un periodo di chiusura relativamente breve, sono stati riaperti al traffico, mentre altri scali di primaria importanza, come Osaka, Kyoto e Nagoya, stanno operando in condizioni pressoché normali.

Le grandi compagnie che collegano il Giappone non hanno praticamente mai interrotto i loro collegamenti, consentendo così da un lato l'afflusso di tecnici e maestranze impegnati nei soccorsi, e dall'altro il rientro in patria di turisti e lavoratori stranieri.

Le preoccupazioni maggiori, per quello che riguarda il trasporto aereo, sono oggi rappresentate dal rischio nucleare legato alla condizione critica della centrale elettrica di Fukushima, intorno alla quale è stata stabilita una zona di divieto di sorvolo che si estende, dal livello del suolo e senza limitazioni di quota, su un raggio di 30 km.

Ma le precauzioni non si fermano qui. Infatti il Volcanic Ash Advisory Centre (VAAC) di Londra (lo stesso balzato agli onori della cronaca un anno fa, in occasione dell'eruzione del vulcano Eyjafjöll) ha emesso oggi un messaggio di emergenza nucleare che riguarda, oltre alla regione aerea di Fukuoka, che comprende tutto lo spazio aereo giapponese, altre nove regioni: Manila, Taipei, Shanghai, Incheon, Pyongyang, Vladivostok, Khabarovsk, Yuzhno-Sakhalinsk e Anchorage. In pratica, tutti i paesi che si affacciano sulla zona nord dell'Oceano Pacifico, dalla Cina alla Russia, dalle Filippine all'Alaska, da Formosa alla Corea, sono sotto osservazione.

Il coinvolgimento del VAAC di Londra in questo genere di problematiche è stato promosso, in collaborazione con l'AEA, fin dal 2007, quando in occasione di un convegno internazionale tenutosi a Bangkok, si stabilirono le linee guida per il monitoraggio dei rischi connessi al rilascio accidentale di sostanze radioattive nell'atmosfera.

Dal canto loro, anche le grandi compagnie che collegano il Giappone al resto del mondo, non sono certo state a guardare. Austrian Airlines, per esempio, sui suoi voli diretti a Tokyo imbarca degli specialisti dell'esercito incaricati, con l'ausilio di strumentazioni dedicate, di misurare il livello effettivo di radiazioni sia in volo e che durante lo scalo in Giappone. Misure analoghe sono state prese anche da Lufthansa.

Entrambe le compagnie, inoltre, al duplice scopo di evitare l'esposizione a eventuali radiazioni e i disagi legati alla situazione di emergenza in atto, hanno riorganizzato le turnazioni dei loro equipaggi in modo da evitare la permanenza dei naviganti in Giappone. Ora i loro voli fanno scalo a Seoul, dove un equipaggio fresco, opportunamente posizionato, si incarica di effettuare la tratta Seoul-Tokyo-Seoul. Lo stesso provvedimento è stato preso da quasi tutte le compagnie europee, anche se è evidente che questo comporta senz'altro un considerevole aggravio di costi.

Unica eccezione, l'Alitalia. Sfruttando una deroga ai tempi massimi di servizio prontamente concessa da ENAC (e rifiutata dalle analoghe autorità degli altri paesi europei) la nostra compagnia ha deciso semplicemente di raddoppiare gli equipaggi dei suoi voli per il Giappone. Il primo fa l'andata, mentre il secondo (dopo un volo di 12 ore da passeggeri) prende i comandi e riporta l'areo in Italia, per un totale di 28 ore di servizio ininterrotte.

Tenuto conto del fatto che durante un volo di andata passato in mezzo a tutti gli altri passeggeri non è assolutamente detto che si riesca a riposare in modo adeguato, viene spontaneo chiedersi quale possa essere il livello di sicurezza che ci si può aspettare da un pilota al termine di un periodo di servizio di questa durata.

Non a caso, le organizzazioni professionali dei piloti hanno scritto una lettera a ENAC stigmatizzando la mancanza di chiarezza (nessuno, a quanto pare, è al corrente dell'esatto contenuto della deroga in questione) e lamentando le possibili ripercussioni sulla sicurezza del volo di una pratica che nessun'altra autorità nazionale europea si è sentita di sottoscrivere.

Ma tant'è: siamo in Italia, e l'abitudine ad affrontare le emergenze a colpi di fantasiose deroghe pare ormai far parte del nostro DNA.

(17 marzo 2011)

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