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Il velo di Iside

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In un bel libro di Pierre Hadot, Il velo di Iside - storia dell’idea di natura, vengono ripercorse le tappe della conoscenza della natura da parte dell’uomo. In particolare, vengono messi in evidenza i due approcci fondamentali che hanno caratterizzato tale rapporto: quello prometeico e quello orfico.

Il primo, tende a svelare attraverso l’artificio e l’esperimento i segreti della natura intesa come terreno di conquista da parte dell’uomo. L’atteggiamento orfico, invece, si limita alla contemplazione della natura alla quale si attinge attraverso l’arte, la poesia e la riflessione, per comprendere senza manipolare.

I manager delle compagnie aeree che ho conosciuto finora, hanno tutti, tranne uno, commesso lo stesso errore: cercare di comprendere la vita aziendale attraverso l’analisi quantitativa dei rapporti su eventi di cui non si è testimoni.

L’attività lavorativa avviene in un luogo di lavoro che si chiama mondo. Le unità operative dell’azienda agiscono in totale autonomia, svincolate una dalle altre, ognuna con un compito a difficoltà variabile, mutevole, come accade in qualsiasi sistema complesso.

Ora, dove ci sono tante variabili c’è bisogno di sintesi, non di analisi. E la sintesi la può fare, di persona, solo chi ha vissuto l’esperienza. Viceversa, si cerca di raccogliere molti dati, infiniti dati, cui seguono scarse analisi e nessuna sintesi. Non è strano, poiché se vogliamo continuamente delle mail e dei rapporti, dobbiamo anche valutare che, a livello di linguaggio scritto, la tendenza a scarnificare l’evento arriva a togliere tutto quello che è ambiente organizzativo per concentrarsi sul banale accadimento.

La conoscenza implicita di sistema così non viene mai fuori e la persona pensa di aver fatto il proprio dovere con il semplice riporto dell’evento. Rapporti superiori a due pagine sono una vera rarità. E sotto le due pagine sfido chiunque a fare un’analisi seria di cosa è successo.

Il tutto emerge chiaramente dalla discrepanza di percezione sul funzionamento di alcuni scali. Per anni, nonostante le tonnellate di rapporti negativi da parte dei comandanti, del fiume di soldi speso per ovviare alle lacune organizzative dello scalo di Malpensa, le statistiche riportavano che i voli in partenza erano per lo più in orario. Ovviamente.

Se un volo parte con quaranta minuti di ritardo e chi deve inserire l’orario di sblocco, utile per la statistica, inserisce “volo in orario”, ufficialmente il volo è partito in orario. Checché ne dicano i piloti e i passeggeri. Avranno avuto un’allucinazione. E per diversi anni.

Stesso dicasi, quando si vuole conoscere il motivo per il quale un volo è partito in ritardo. Dato che per l’allestimento del volo ci sono tutta una serie di operazioni concatenate, ognuna delle quali non può partire se non è stata completata la fase precedente, è facile che si crei un intoppo da qualche parte che rallenta tutto il processo. Quando si tratterà di trovare il motivo che ha provocato il ritardo, per modificare eventualmente il processo o identificare il responsabile del disservizio e chiedere spiegazioni, nasce tutta una serie di contromisure chiamate scarica-barile, gioco nazionale, in cui siamo i vice-campioni del mondo.

Ognuno cerca di fare le cose per addebitare la propria responsabilità agli altri, incurante del risultato finale. Da quello che mi dicono persone che lavorano in rampa, la causale del ritardo comunicata dal comandante viene regolarmente modificata da colui che deve inserire la causale, anche perché il suo capo non vuole che figuri a carico dell’ente di scalo la causa del disservizio.

Mi capitò un’esperienza abbastanza significativa a Malpensa, qualche anno fa, in cui accumulai un ritardo notevole dovuto a mille fattori. Praticamente ogni anello della catena aveva contribuito al ritardo finale: non c’era il rampista, non c’era l’autobus passeggeri, mancava il carburante, mancavano le pulizie, non sono arrivati i pasti, e così via fino a un’ora dopo l’orario previsto di sblocco.

Finalmente, quando è arrivato il momento di partire, dovendo motivare il ritardo addebitando le varie causali ho preferito, esasperato, mettere “Malpensa” piuttosto che accumulare altri cinque minuti di ritardo per compilazione del “cahier de doléance”.

(27 marzo 2011)

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